Alexander Zverev ha ammesso di sentirsi solo e di non provare gioia in quello che fa: un grido che chiede risposta, una domanda che abbiamo tutti.
ALEXANDER ZVEREV E LA SOLITUDINE DEL TENNISTA
Il caso di Alexander Zverev scuote Wimbledon, e non solo. Dal punto di vista sportivo, il tedesco ha perso al primo turno contro Arthur Rinderknech: una notizia clamorosa di per sé, ma che se vogliamo rientra in una statistica nera per le teste di serie in questi Championships, perché dallo Slam di Londra sono già stati eliminati elementi di grande spicco come Daniil Medvedev, Stefanos Tsitsipas, Frances Tiafoe, Coco Gauff, Jessica Pegula e purtroppo anche i nostri Lorenzo Musetti e Jasmine Paolini.
Da questo punto di vista, dunque, la sconfitta di Zverev fa rumore ma, considerato il contesto generale, nemmeno più di tanto. Il problema è che nella conferenza stampa post-partita Sascha si è lasciato andare a una confessione a cuore aperto: “Mi sento molto solo nella vita” ha detto, confessando di non riuscire più a provare gioia nelle cose che fa (aggiungendo che è così anche quando vince, anche se è indicativo il fatto che il tema sia emerso dopo un ko).
Che sia depressione o meno, non sappiamo: l’argomento tra l’altro è da trattare con le pinze e abbiamo avuto qualche caso anche nel passato recente, basti pensare ad Andrey Rublev che prima di Zverev ne aveva parlato, all’ormai quasi ventennale episodio che aveva coinvolto Gianluca Pessotto e, rimanendo al mondo del tennis, a Naomi Osaka che dopo aver vinto quattro Slam e dominato il circuito Wta si è trovata a non riuscire ad affrontare i microfoni dei giornalisti senza scoppiare in lacrime, dilaniata (lo ha detto lei) dal timore di deludere le aspettative della gente.

Insomma: bisogna sempre stare attenti quando si parla di certe cose, ma in termini più generali il grido di aiuto di Zverev (perché questo è) riguarda tutti noi. Possiamo anche fare un parallelismo con Matteo Berrettini, premettendo che si tratta di cose diverse almeno tecnicamente: il romano, battuto da Kamil Majchrzak nel primo turno di Wimbledon (non gli era mai capitato prima, e ricordiamo la finale del 2021), ha addirittura aperto all’ipotesi di un ritiro dalle scene, non riuscendo a esprimersi come vorrebbe sui campi da tennis e, di conseguenza, non provando piacere in quello che fa.
ALEXANDER ZVEREV E IL BISOGNO DEL NOSTRO CUORE
Ecco perché l’argomento riguarda tutti: certamente la depressione rimane una malattia che va curata, un demone che arriva all’improvviso e non è preventivabile, ma tutto sommato ci fa guardare in faccia il nostro essere piccoli, infinitesimali rispetto al mondo, eppure del tutto preziosi solo per esserci. Ad un certo punto tutti, sportivi professionisti o meno, fanno i conti con un dato: la vita è una sfida continua, può presentare saldi positivi o negativi, e non bastano i milioni in banca o qualche titolo Slam per sistemarla. Da questo punto di vista siamo tutti uguali: abbiamo un cuore che domanda, grida di essere soddisfatto.
La risposta? Ognuno può trovarla secondo il suo percorso, ma tutti ce l’abbiamo; quando emerge quel bisogno di un “più”, allora può esserci la necessità di appoggiarsi a qualcuno, anche solo per camminare insieme. Il tennista sul campo è da solo: certo oggi viaggia accompagnato da team anche molto numerosi, ma quando indossa maglietta e pantaloncini e prende in mano la racchetta si trova ad affrontare il suo avversario senza aiuti.
A volte, questo avversario può non essere un altro tennista: in campo come nella vita, condividere la strada può essere una soluzione, senza demandare ma semplicemente stando insieme. Ad Alexander Zverev l’augurio di avere chi possa sostenerlo in questo difficile percorso, a noi quello di non dare mai per scontato chi siamo, perché ci siamo e cosa cerchiamo.
