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Home » Cultura » Arte » ARTE/ In fuga verso l’Egitto: l’Infinito non è più un’incognita ma un destino buono

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ARTE/ In fuga verso l’Egitto: l’Infinito non è più un’incognita ma un destino buono

Giuseppe Frangi
Pubblicato 26 Dicembre 2023
Adam Elsheimer, Fuga in Egitto (1609, particolare)

Adam Elsheimer, Fuga in Egitto (1609, particolare)

Nella "Fuga in Egitto" (1609) di Adam Elsheimer lo sguardo sorprende gli istanti della sacra famiglia alla luce della luna, certi della bontà di Dio

Deve essere andata davvero così: dopo l’avvertimento dell’Angelo in sogno a Giuseppe, partenza immediata in quella stessa notte in direzione Sud, verso l’Egitto. Lo riferisce Matteo nel suo Vangelo (2,13-14): “Giuseppe destatosi prese con sé il bambino e sua madre e fuggì in Egitto”. Possiamo immaginarli percorrere quell’itinerario con tanta ansia nel cuore, attraversando con tutta probabilità zone che oggi sono tragicamente all’ordine delle cronache: la strada più diretta passa per il territorio di Gaza. Con sé hanno meno dell’indispensabile, come i migranti di oggi. Perciò, cammin facendo, si nutrono di ciò che la natura in quella terra garantiva con generosità, i datteri in particolare, come la tradizione riferisce. Ma è notte. Tutto intorno è di un’oscurità vasta e piena di incognite. La piccola famiglia però non perde tempo, procede sotto un cielo fortunatamente sereno e alla luce di una luna davvero provvidenziale.


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Ci sono due modi per guardare questo meraviglioso quadro dipinto su rame da Adam Elsheimer, artista tedesco vissuto tra 1578 e 1610, attivo per la maggior parte della sua vita a Roma (è sepolto in San Lorenzo in Lucina, a conferma della sua fama e di quanto si fosse integrato nella città).

Il primo modo è quello di vederlo nel suo insieme: ha piccole dimensioni (31×41 cm, è conservato alla Alte Pinakothek di Monaco) ma spalanca una veduta vastissima. Si può dire che i nove decimi dell’opera siano dedicati al contesto notturno, al bosco e soprattutto al cielo stipato di stelle. Dalla loro posizione, restituita con molta precisione, si è anche ipotizzato che il quadro possa essere stato dipinto a Roma intorno al 16 giugno 1609. C’è un che di favoloso e rassicurante nel modo in cui il cielo ci viene restituito, con una precisione assolutamente inedita per quell’epoca (proprio quell’anno, a dicembre, Galileo avrebbe identificato la Via Lattea con il suo telescopio). Si può notare come Elsheimer dipinga le stelle sovrapponendole a volte alle nuvole, come per renderle più vicine e protettive al cospetto dei fuggitivi.


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Il secondo modo di guardare questo meraviglioso quadro è quello di zoomare sui protagonisti, che occupano il centro basso della scena. È un dettaglio reso visibile da una delle tre fonti luminose che caratterizzano il dipinto, vale a dire la torcia con cui Giuseppe illumina il cammino. Un’altra fonte luminosa è la luna alle loro spalle, la quale specchiandosi nell’acqua raddoppia amichevolmente la sua funzione; la terza è quella del fuoco acceso dai pastori che annottano in lontananza, ai margini del bosco. Grazie alla torcia di Giuseppe possiamo scoprire le poche masserizie che la famiglia è riuscita a portare con sé. Ma soprattutto quella torcia ci svela la rete di sguardi che si stanno tessendo tra i fuggitivi in quella notte piena di incognite. C’è lo sguardo premuroso di Giuseppe che si protende a tranquillizzare Gesù quasi giocando con lui; c’è lo sguardo di Maria che si volta all’indietro a cercare la sponda e il sostegno nell’uomo che ha sposato. È uno scambio di sguardi che filtrano nella penombra, contrassegnati da una grande tenerezza reciproca.


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Naturalmente c’è una relazione decisiva tra la visione completa del quadro e questo dettaglio: nel cuore di quel padre e di quella madre migranti vibra infatti la coscienza che l’infinito che li sovrasta ora ha assunto la concretezza di un nome, di un volto, di una storia. L’infinito non è più un’incognita ma un destino buono, una speranza tangibile, una luce che si offre ad ogni donna e ad ogni uomo, pur nelle tragiche traversie della storia.

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