La produzione di auto negli stabilimenti Stellantis italiani è ai minimi, occorre agire rapidamente per evitare il peggio
La società Stellantis è nata nel gennaio 2021 dalla fusione tra Fca (Fiat-Chrysler) e la francese Psa. Il nuovo gruppo automobilistico sarà impegnato nei prossimi anni a finanziare la mobilità sostenibile attraverso la riconversione degli stabilimenti che producono auto con motore endotermico con quello ibrido ed elettrico dei 14 marchi che controlla tra cui Fiat, Alfa Romeo, Jeep, Citroen, Peugeot, e Opel.
Il gruppo con oltre 248.000 dipendenti nel mondo al 31/12/2024, di cui circa 127.000 in Europa e 38.600 in Italia, ha riaperto negli ultimi mesi con le organizzazioni sindacali un confronto sull’utilizzo di ammortizzatori sociali nel nostro Paese, con accordi di cassa integrazione, contratti di solidarietà e uscite volontarie dei dipendenti.
La produzione in Italia di Stellantis nel primo semestre di quest’anno si è attestata a 220.000 auto di cui circa 100.000 veicoli commerciali, il 27% in meno sullo stesso periodo del 2024 e una previsione di soli 400.000 veicoli per la fine del 2025 nelle sei fabbriche italiane, che hanno però una capacità produttiva di 1,5 milioni di autoveicoli all’anno e che nella gestione Marchionne erano in grado di produrne un milione.
Certo la produzione italiana è condizionata da alcuni importanti problemi come la debole domanda europea e in modo particolare per i veicoli elettrici (inoltre i nostri giovani che numericamente sono sempre meno, per effetto “dell’inverno demografico”, hanno altri interessi e poco attratti all’acquisto e all’uso di un’auto al compimento del diciottesimo anno di età come diversamente avveniva molti anni fa). Gli altri elementi negativi sono i costi energetici elevati compreso quello della stessa auto elettrica e la concorrenza cinese.
Nella speranza che la versione ibrida della Citycar Fiat 500 in uscita il prossimo anno e i nuovi modelli di Melfi possano aumentare il numero di veicoli prodotti in Italia, un po’ poco per arrivare al milione auspicato dal Ministro Urso, è utile ricordare i dati dell’anno scorso. Nel 2024 sono stati prodotti 475.000 veicoli di cui solo 283.000 auto, il numero più basso degli ultimi settant’anni, con un calo sul 2023 del 37%, a causa del crollo vertiginoso del full electric.
Ora Stellantis, per poter recuperare quote di mercato, è costretta a puntare sempre di più sull’ibrido, vista anche la messa al bando nel 2035 dell’auto endotermica. Ma questa decisione, determinata dalla Commissione e dal Parlamento europeo precedente, sta mettendo in difficoltà i siti produttivi in Italia.
Se nel 2024 la sola Pomigliano rappresentava una positiva eccezione, producendo oltre 67.000 Fiat Panda, cioè il 54% della produzione auto in Italia, nello scorso luglio è stato sottoscritto un accordo tra la direzione e le organizzazioni sindacali dove si potrà sostituire la cassa integrazione ordinaria con un contratto di solidarietà, come avverrà nelle prossime settimane nel sito campano, a causa della flessione dei modelli Panda (-15%) e Alfa Romeo Tonale (-20%).
Purtroppo, il calo dei volumi e l’uso degli ammortizzatori sociali che sta coinvolgendo la metà dei lavoratori italiani del gruppo non permettono di far intravvedere segnali di ripresa entro la fine del 2025 rischiando di perdere nei prossimi anni un importante settore industriale come quello automotive, compreso il suo indotto e tutta la filiera produttiva.
L’attuale dirigenza Stellantis, dopo la nomina di Antonio Filosa, come nuovo amministratore delegato del Gruppo, subentrato a Carlos Tavares nel giugno scorso, deve anche rispondere sulla decisione di sospendere l’investimento per la Giga-factory di Termoli, destinata alla produzione di batterie. Disinvestire su questa tecnologia vuol dire che saremo costretti a comprare auto dalla Cina mettendo in discussione una prospettiva industriale indispensabile per la filiera automotive italiana verso la transizione elettrica e rischiando di sottrarre al territorio molisano circa 2.000 posti di lavoro.
L’ex presidente della Bce e del Consiglio Mario Draghi il 16 settembre ha ricordato che l’obiettivo Ue, sullo stop alle emissioni nel 2035 “si basa su ipotesi non più valide, perché lo sviluppo di batterie, chip e infrastrutture di ricarica non si sono più realizzare, portando a un fallimento del “circolo virtuoso” previsto e al rischio di favorire la Cina. Le infrastrutture e le filiere non hanno tenuto il passo, con modelli costosi. Al settore auto serve un approccio più neutrale sulle tecnologie e una strategia integrata”.
Avvertendo inoltre che il settore automotive “metterà alla prova la capacità dell’Ue di allineare infrastrutture e sviluppo della catena del valore in una strategia coerente”. Ricordando “che l’installazione dei punti di ricarica deve accelerare di 4-5 volte nei prossimi cinque anni per raggiungere una copertura adeguata, indispensabile per un’industria che dà lavoro ad oltre 13 milioni di persone”.
Le sollecitazioni che Draghi ha fatto all’Ue valgono anche per il nostro Paese e per tutti gli attori della filiera automotive (azienda, Governo, Parti sociali e Regioni), perché bisogna creare le condizioni di sviluppo del settore, aumentare le produzioni, rafforzare i centri di ricerca e di ingegneria, investire sui modelli nuovi, riqualificare le competenze dei lavoratori e sostenere la riconversione della filiera della componentistica accorciando la catena di fornitura e portando in Italia le produzioni per l’auto del futuro come i semiconduttori, le batterie e i componenti per la motorizzazione elettrica.
Mario Draghi ci ricorda inoltre che sulla decarbonizzazione “dobbiamo essere pragmatici, flessibili e non dogmatici”. Per questo è importante governare l’impatto che le auto elettriche avranno sull’ambiente lungo l’arco della loro vita perché non possiamo acquistare la materia prima per produrre le batterie dalle miniere dove è presente il lavoro minorile oppure come avviene in Cina dove, senza limiti ambientali, l’energia per le auto elettriche, che hanno invaso il mercato europeo, è prodotta dalle centrali a carbone.
Allora la Commissione e il Parlamento europeo dovrebbero valorizzare e incentivare, con più determinazione, anche quei materiali che provengono dalla economia circolare per la costruzione di autoveicoli (elettrici, ibridi, ma anche endotermici) che hanno meno impatto ambientale.
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