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Home » Chiesa » CONCILIO DI NICEA/ Così un’esperienza di fede diventa profezia di unità tra le due Chiese

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CONCILIO DI NICEA/ Così un’esperienza di fede diventa profezia di unità tra le due Chiese

Pietro Galignani
Pubblicato 31 Agosto 2025
Icona proveniente dal monastero di Mégalo Metéoron in Grecia, rappresentante il primo concilio ecumenico di Nicea

Icona proveniente dal monastero di Mégalo Metéoron in Grecia, rappresentante il primo concilio ecumenico di Nicea

L’incontro al Meeting di Rimini tra Bartolomeo di Costantinopoli e il card. Koch sul Concilio di Nicea è stato un momento di conferma e di profezia

L’incontro del popolo di don Giussani, che è gran parte del popolo del Meeting, con il patriarca ecumenico Bartolomeo di Costantinopoli ed il cardinale Kurt Koch, prefetto del Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani, non è stato solo un evento, è stato anche una profezia. Il Meeting ha invitato tutta la vita della “grande Chiesa” di Costantinopoli e della Chiesa di Roma ad un incontro per commemorare insieme il grande sinodo universale di Nicea (325), nato dal clima spirituale della Chiesa indivisa.


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Con grande solennità essa si è espressa a Nicea per la prima volta con tutta l’energia, proveniente non dalla speculazione ma dalla vita vissuta, su temi fondamentali del cristianesimo. Ha trattato la teologia trinitaria e la precisa affermazione della persona di Cristo interpretando la Scrittura attraverso la tradizione vissuta e fondando il proprio giudizio sulla comunionalità, che è fondamento della sinodalità e del rapporto tra vita cristiana ed istituzione.


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Il Dipartimento per la promozione dell’unità dei cristiani si è espresso più volte sull’importanza e sull’insegnamento di questo gesto ecclesiale. All’inizio di quest’anno il cardinale Koch ha presentato in un documento del suo dicastero quattro punti di particolare riflessione su questo concilio. Oggi – sono parole di Koch – “assistiamo a un forte risveglio delle tendenze ariane. Già negli anni 90 il cardinale Joseph Ratzinger ravvisò un ‘nuovo arianesimo’ la vera sfida che il cristianesimo contemporaneo si trovava ad affrontare”.

È urgente proclamare insieme la comune fede in Gesù Cristo vero uomo e vero Dio, ricercare una data comune per la Pasqua, studiare lo “stile sinodale” esercitato in questo sinodo universale ed infine ripensare a fondo il rapporto tra l’autorità della Chiesa e dello Stato.


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Bartolomeo non è venuto come un ospite straniero che giunge da una terra sconosciuta e lontana. Si trova a suo agio in l’Italia perché vi ha vissuto a lungo da studente e perché, da quando fu eletto patriarca nell’ottobre del 1991, vi ha promosso lo sviluppo di un’archidiocesi ortodossa con sede a Venezia, dove il metropolita è anche esarca dell’Europa meridionale.

L’Italia in questo modo fa parte del suo territorio canonico e il patriarca Bartolomeo vi viene spesso per esercitare le attività e l’autorità che gli competono.

Sono inoltre significative le visite in Vaticano avvenute durante il pontificato degli ultimi tre pontefici defunti. Degna di particolare ricordo fu la sua presenza a Milano nel 2013 per la commemorazione con il card. Angelo Scola dei 1700 anni dell’editto di Costantino, che per la prima volta nella storia proclamava la libertà di culto di tutte le religioni presenti nello Stato romano. Prima ancora dei gesti ufficiali il patriarca, accompagnato dai metropoliti suoi collaboratori, aveva celebrato i vesperi nella chiesa greca ed aveva poi salutato personalmente con cordialità tutte le persone intervenute.

La tradizione bizantina rappresentata dal patriarca, che presiede la comunionalità sinodale di 15 chiese autocefale (indipendenti), propone alcuni temi che la caratterizzano e ne costituiscono la sua peculiare espressione. Esprime un’esperienza viva e preziosa del fatto cristiano e lo comunica in modo esistenziale e carismatico alla Chiesa latina ed a tutte le denominazioni evangeliche e riformate.

Vive la Scrittura nell’esperienza e testimonianza dei Padri. In modo particolare nella memoria liturgica esprime la sua identità distinguendo chiaramente teologia e divina economia della salvezza, la teologia carismatica dalla teologia scientifica o accademica.

L’impostazione esistenziale porta la teologia a intuire che l’essenza di Dio è inconoscibile (teologia apofatica) mentre è conoscibile la sua attività, un continuo intervento nella storia dell’uomo che è offerta alla sua sete di significato (teologia katafatica).

Un momento dell’incontro al Meeting: da sin. Andrea D’Auria, Bartolomeo di Costantinopoli, il card. Kurt Koch (foto Meeting di Rimini)

È impossibile in questo breve scritto tentare di fare un riassunto delle relazioni dei due illustri esponenti invitati dal Meeting a fare memoria del concilio di Nicea. È necessario rimandare al video e alla trascrizione completa delle lunghe e significative esposizioni.

Il cardinale Koch ha sottolineato con documentata chiarezza il valore ecumenico di una memoria del Concilio di Nicea compiuta in un incontro comune di tutte le Chiese e denominazioni cristiane. Infatti ha indicato l’importanza e l’attualità ecumenica di riaffermare la divinità di Cristo nel cristianesimo contemporaneo che è in alcuni ambienti ed in alcune espressioni orientato a vedere Gesù solo come uomo.

Ancora il Concilio di Nicea obbliga a ristudiare ed approfondire il rapporto tra sinodalità e primato in questo tempo oggetto particolare del dialogo ecumenico tra la Chiesa cattolica e la comunione delle Chiese ortodosse. Il cardinale ha in questo modo mostrato che lo studio e la commemorazione di questo primo concilio ecumenico è la bussola che guida alla piena unità della Chiesa. Questo avviene a maggior ragione affrontando il problema della celebrazione della Pasqua in una data comune.

Il patriarca Bartolomeo nella sua lunga relazione ha mostrato come dal grande sinodo universale di Nicea si sia sviluppata nel tempo tutta la fisionomia che caratterizza la fede comune delle Chiese ortodosse.

In particolare ha sottolineato che i frutti di questo Concilio sono nati non da affermazione dottrinali, ma da una vita che si è sviluppata dalla comunità degli apostoli e che ha mostrato il suo volto e la sua consistenza nei simboli battesimali. Tale vita non è però prodotto di genialità umana ma è plasmata dalla vita della Trinità, archetipo e fondamento della Chiesa.

La Trinità infatti suscita l’espressività liturgica, cuore della vita cristiana, e la teologia nasce come confessione di fede che si concretizza nella formulazione dogmatica espressa dal concilio universale. Proprio da questa vita nasce il rapporto tra liturgia, che produce la comunionalità, e la sinodalità che il Concilio di Nicea ha esemplarmente vissuto.

La sinodalità a Nicea si è espressa come immagine della Trinità nell’equilibrio perfetto tra carisma personale e comunionalità ecclesiale. Ed è sempre la Trinità che indica e realizza il rapporto tra la funzione liturgica e il compito amministrativo dell’autorità, il rapporto tra carisma ed istituzione.

Dalla vita cristiana così intesa nasce il rapporto sinfonico tra l’autorità politica, che ha il compito di proteggere la Chiesa, e l’autorità religiosa, che indica come rendere più umana la convivenza sociale. In definitiva il Concilio di Nicea è un passo decisivo della vita della Chiesa e ne esprime autenticamente il volto preciso.

Il popolo del Meeting ha avvertito la familiarità e la consonanza con questo modo di annunciare e presentare la fede cristiana, poiché è stato educato a vivere il senso religioso come coscienza di dipendere radicalmente dal mistero di Dio. Vive il cristianesimo come fatto che permane presente nella storia nell’unità dei credenti guidati al comune destino.

Tale evento che accade oggi può essere incontrato attraverso un annuncio che vive dentro una comunionalità continuamente alimentata dalla memoria liturgica. In questa esperienza esistenziale emerge un popolo nuovo, cambiato dai santi misteri di Cristo e dal soffio dello Spirito, capace di rendere l’uomo più umano, di promuovere la pace che tutti invocano e nessuno sa realizzare con i propri progetti.

A Rimini dunque Bartolomeo è stato accolto da popolo educato ormai da molti decenni dal carisma di Giussani e da lui reso sensibile al tema del cambiamento di sé (trasfigurazione) nella sequela e alla sobornost’ (comunionalità).

Per lungo volgere di secoli nei rapporti reciproci ha imperato una pesante diffidenza e feroce opposizione, provocata, come al Concilio di Firenze, da un dialogo che alla teologia esperienziale e carismatica dei bizantini opponeva l’argomentazione dialettica dei latini educati dalla teologia scolastica.

Il Meeting è stato una grande assemblea nella quale il popolo del Meeting e il popolo della “grande Chiesa” di sant’Andrea si riconoscono in un linguaggio comune. È il terreno nel quale può germogliare una fecondo approfondimento del fatto cristiano che nasce da un’intensa comunicazione di esperienze esistenziali, che, proprio per questo, sono espressione della teologia carismatica che prima gusta la vita cristiana e solo dopo la comunica.

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Tags: Papa RatzingerDon Luigi Giussani

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