Conclave iniziato e prima fumata nera. Oggi ci saranno quattro votazioni. La “mappa” e lo scenario del vaticanista e scrittore Paolo Rodari
Fumata nera. Ma con un ritardo insolitamente lungo tra l’“Extra omnes” e la conclusione del primo scrutinio, annunciata al mondo poco dopo le 21, oltre un’ora e mezza rispetto all’orario preventivato. Un ritardo che in brevissimo tempo ha prodotto un fiume di congetture, perfino l’ipotesi di un rinvio del primo voto. A spiegarlo potrebbe bastare, invece, la lunga meditazione iniziale e l’ora e mezza necessaria per la sola operazione di voto di un numero maggiore di cardinali (133 contro i 115 del 2013).
Si può supporre che la prima votazione sia stata, come avviene in ogni conclave, esplorativa: un test per iniziare a contarsi, pesare i nomi e sondare il terreno.
Paolo Rodari, giornalista, vaticanista e scrittore, ha lavorato prima al Riformista, poi al Foglio e a Repubblica. Adesso collabora con la Radiotelevisione della Svizzera italiana. È al suo terzo conclave da giornalista.
“Difficile far confluire 89 voti su un candidato” ha detto l’altra sera il cardinale Ravasi, che ha partecipato alle congregazioni ma non è elettore. È un alert pessimistico?
No, credo si riferisse alla difficoltà di arrivare subito ad una maggioranza “vincente”. Nel 2005 Ratzinger entrò come favorito e venne eletto il secondo giorno perché partì con tanti voti. Un candidato con tanti consensi difficilmente li vede scendere, a meno che non si crei un impasse.
Dovuto magari a una candidatura contrapposta.
Esatto. Nel primo caso, anche gli altri cardinali capiscono che la maggioranza tendenzialmente vuole il più votato, e convergono con il proprio voto. È così che si è arrivati all’elezione di Benedetto XVI.
Il conclave del 2013, invece?
Il quel caso Scola risultò il più favorito al primo scrutinio, con una quarantina di voti, che però, stando a quel che è trapelato, che va sempre preso con le pinze, non aumentarono. Invece salì Bergoglio, dalla dozzina di voti che aveva dopo il primo scrutinio.
Cosa ci dice questa ricostruzione, fino ad oggi non smentita?
Sta a significare che un favorito, o che appare come tale sui media e dato come primo “papabile”, può ritrovarsi la strada sbarrata. Per tornare alla domanda, è possibile che Ravasi volesse dire proprio questo: non vedo un cardinale che abbia così tanti voti come Ratzinger nel 2005.
C’è la possibilità che si verifichi una battaglia frontale come quella che oppose Siri e Benelli nel secondo conclave del 1978?
Mi pare molto improbabile.
I “tuoi” papabili?
A mio avviso Parolin e Tagle sono quelli che possono aggregare più voti. Con l’incognita che abbiamo detto: se entrambi ricevono un numero di voti consistente, ma nessuno dei due li vede aumentare, allora si va su un terzo nome.
Parolin è subito apparso come un candidato naturale. Perché Tagle è così gettonato?
Perché rappresenta un continente, l’Asia, dove la fede non ha grandi numeri come in America e in Europa ma è in ascesa. La Messa a Manila di Francesco, cui hanno preso parte milioni di fedeli, sarà ricordata come un fatto impressionante. Tagle è carismatico, trascinatore, ha un profilo pastorale molto forte. Inoltre da sei anni è a Roma, in Curia, a Propaganda fide e questo incarico gli dà una fisionomia completa.
Nelle congregazioni generali a orientare le preferenze sono stati innanzitutto i temi, come la tanto dibattuta sinodalità, o le personalità?
Questo è un punto molto interessante: direi che la priorità non l’hanno avuta i volti, ma i temi. E i temi sono quelli che ieri (martedì, nda) la Santa Sede ha annunciato in un comunicato più dettagliato del solito. Si è parlato di lotta alla pedofilia, trasparenza economica, povertà, cura del creato, comunione, tutti temi cari all’agenda di Francesco.
Qual è l’indicazione che esce dalle congregazioni?
Direi l’idea che indietro non si torna. È tuttavia un concetto che va interpretato, e a dargli una fisionomia precisa potranno essere solo il temperamento e le scelte del nuovo papa.
Quale potrebbe essere l’orientamento dei cardinali?
Secondo me si sono convinti che serva non un politico ma un pastore, un buon samaritano che va incontro agli ultimi. Insomma, un po’ papa Francesco.
Esistono aggregazioni geografiche di cardinali elettori? O sono trasversali?
È ciò che ho chiesto al cardinale Kasper in un’intervista per la RSI. A suo dire, nelle congregazioni non c’era consenso per gruppi geografici – asiatico, nordamericano, italiano e via dicendo –, come sembra che sia avvenuto nel conclave del 2013, ma solo su grandi questioni.
I più conservatori hanno possibilità di incidere?
Esiste dentro il collegio un settore più tradizionalista e quindi anche molto conservatore su certe posizioni, ma è esiguo e può contare solo se sposa un altro candidato.
Ci sarebbe invece un gruppo cospicuo di cardinali che vorrebbero un successore di Pietro da contrapporre a Trump. Una visione politica, di stampo se vogliamo progressista, del ruolo del papato.
Non mi risulta; credo che non vogliano in nessun modo farsi condizionare dalla politica, né in un senso né nell’altro. È vero, il pontificato di Francesco su molti temi, non tutti, è stato contrario a certe scelte trumpiane. Ma se questo è avvenuto, è perché papa Bergoglio ha seguito il Vangelo.
Se dovessero tramontare le candidature principali, Parolin e Tagle, chi potrebbe salire?
Qui scontiamo l’incertezza del conclave. Direi l’americano Prevost, che ha un’esperienza pastorale in Perù, il francese Aveline, figlio di migranti, Pizzaballa, forse troppo giovane, e Zuppi, un nome importante anche se ha detto di se stesso di non essere papabile.
Sarà un conclave breve?
Difficile dirlo. Gli ultimo due conclavi sono durati due giorni, 4 scrutini nel 2005 e 5 scrutini nel 2013. Se questo conclave dovesse superare i tre giorni e arrivasse la pausa di un giorno, vorrebbe dire che nella Sistina regna davvero l’incertezza totale.
(Federico Ferraù)
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