COVID & UE/ La “nebbia fitta” sul futuro di Pil e Patto di stabilità
La quarta ondata di Covid e la minaccia della variante sudafricana aprono incognite importanti per il futuro dell’Unione europea

L’autunno era iniziato in un clima di euforia: un’Europa che cresceva così rapidamente con un “rimbalzo” che avrebbe azzerato nel giro di pochi mesi il crollo della produzione, dei redditi e dell’occupazione verificatosi in un anno e mezzo di pandemia. Un “recupero” tanto rapido da provocare segnali d’inflazione e dal dover essere incardinato in una programmazione a medio termine quale quella del Next Generation Eu e dei vari Piani di ripresa e resilienza nazionali.
Siamo a fine novembre e ci sono segnali sempre più robusti che dobbiamo prepararci a un Natale sobrio, non mesto come quelli degli ultimi due anni ma neanche troppo allegro. Le indicazioni vengono principalmente dal cuore dell’Unione europea: la Repubblica Federale Tedesca, che per popolazione, reddito, occupazione, finanza e tecnologia è centrale alla crescita, o al declino, del continente. Già negli anni Novanta del secolo scorso la Germania parve scivolare verso il declino, e portare con sé il resto dell’Ue.
Una serie di riforme coraggiose del sistema previdenziale, del mercato del lavoro, e della politica industriale furono le premesse per la svolta che si consolidò nei sedici anni del Cancellierato di Angela Merkel. Allora – insegnavo sovente in Germania- la Repubblica Federale individuò gli ostacoli interni (molti li conoscevano da tempo) e seppe come affrontarli. Oggi il nemico è esterno e non conosciuto; inoltre, è invisibile. È la quarta ondata della pandemia che attanaglia la Baviera meridionale e numerosi Länder orientali. La determinante principale è il relativamente basso tasso di vaccinazione che sembra stia anche accelerando le mutazioni del virus. L’Austria, la Slovenia, il Benelux, la Romania, la Bulgaria e diverse regioni del nord-est della Francia sono in condizioni analoghe.
Quali le implicazioni economiche? E come possono reagire le politiche pubbliche? È difficile anticipare se ci sarà una brusca frenata o un rallentamento. Anche se è quanto mai difficile fare previsioni, in queste settimane l’area dell’euro sta crescendo al tasso annuo del 3,7%; senza la recrudescenza della pandemia avrebbe potuto chiudere il 2021 con un aumento del Pil del 4% rispetto al livello del 2020 e anche contare su una crescita analoga nel 2022. Se poche settimane di restrizioni aggiuntive faranno aumentare le vaccinazioni in maniera significativa (e non ci saranno nuove varianti del virus tale da “bucare” i vaccini), dopo un rallentamento invernale, la crescita potrebbe riprendere fiato nella primavera del 2022.
Il rallentamento sarebbe in questo caso limitato. Se le misure restrittive non inducono la percentuale della popolazione (varia da Paese a Paese) a una copertura vaccinale prossima al 90% (questo è ciò che è necessario, secondo gli scienziati, per arrestare la circolazione del virus) e i vincoli dovranno essere mantenuti più a lungo, è possibile che ci si avvii verso almeno un altro anno difficile.
Ciò ha conseguenze a vari livelli. A livello dell’Ue, un libro che esce in questi giorni (Massimo Rostagno, Carlo Altavilla, Giacomo Carboni, Wolfgang Lemke, Roberto Motto, Arthur Saint Guilhem and Jonathan Yiangou Monetary Policy in the Times of Crisis, Oxford University Press 2021) dimostra eloquentemente che nei primi vent’anni della sua esistenza, la Banca centrale europea ha mostrato la flessibilità e la destrezza necessarie per affrontare crisi. Probabilmente, dovrà mantenere in vita più a lungo il Pandemic emergency purchase programme (Pepp) che sarebbe dovuto terminare in marzo (e di cui il principale Paese beneficiario è l’Italia). Verrà rallentato il tapering (ossia la graduale riduzione sino alla cessazione) delle misure monetarie (ossia del Quantitative easing). Molto poi dipende da quelle che saranno le caratteristiche dell’inflazione ora in corso.
Più complesso il quadro delle politiche di bilancio sia perché sono competenza dei singoli Stati dell’Unione, sia perché il 2022 è l’anno in cui si rinegozierà il Patto di crescita e di stabilità e il regime degli aiuti di Stato. La quarta ondata della pandemia e il rallentamento infittiscono la nebbia.
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