GIORNATA MONDIALE DELLA PACE/ Mons. Pennisi: solo misericordia e bellezza possono salvarci

- Francesco Inguanti, int. Michele Pennisi

La misericordia di cui parla il papa non è buona solo per i cattolici, ma per tutti gli uomini di buona volontà; ed è la strada che la Chiesa oggi offre per salvare l'uomo. MICHELE PENNISI

Vaticano_veduta Immagine di archivio

L’uomo di oggi non è appena indifferente a Dio, ma, cosa ancor più grave, indifferente anche a sé stesso. La misericordia di cui parla il papa non è buona solo per i cattolici, ma per tutti gli uomini di buona volontà; ed è la strada che la Chiesa oggi offre per salvare l’uomo. Lo dice monsignor Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale e membro del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace in questa intervista. Dove commenta i principali passaggi del messaggio di Papa Francesco in occasione della giornata mondiale della pace 2016.

Mons. Pennisi, sono molte le parole chiave del messaggio per la giornata mondiale della pace di quest’anno. Partiamo dalla prima, quella del titolo: l’indifferenza, quella dell’uomo verso Dio.

L’uomo di oggi non è appena indifferente a Dio, ma, cosa ancor più grave, indifferente anche a sé stesso. Non solo, perché, come spiega il Papa, pensa di essere “l’autore di se stesso”, ma anche perché “si sente autosufficiente e mira non solo a sostituirsi a Dio, ma a farne completamente a meno”. La conseguenza è che si sente portatore solamente di diritti. La verifica si può fare o ascoltando un qualunque dibattito televisivo o recandosi al mercato a fare la spesa. Ci si lamenta di tutto e di tutti, ma soprattutto non si è disposti a dare nulla per contribuire al “bene comune”.

Ma Dio continua ad interessarsi degli uomini, visto le cose gravi e atroci che accadono nel mondo?

Sì, senza ombra di dubbio. Affermare questo non è la “ragione sociale della Chiesa”, ma l’evidenza che il bene si diffonde nel mondo attraverso l’opera, certo discreta e lontana dai nostri schemi, di Dio. Papa Francesco nel suo Messaggio al punto 7 cita alcuni significativi esempi; ma, come ho detto prima, basta guardarsi in giro per vedere; ci vogliono però “occhi buoni” e questi, purtroppo, scarseggiano.

Che vuol dire che scarseggiano gli “occhi buoni”?

Vuol dire che è venuta meno la capacità a saper vedere il bene e a seguirne l’esempio, perché manca un’educazione e, in alcuni casi, una adeguata ascesi. Oggi nessuno vuole fare fatica ed è disposto ad attendere i “tempi di Dio”, che spesso non sono i nostri. Vi è una specie di consegna generalizzata al carpe diem, che spesso impedisce di mettere in campo un qualunque programma o impegno di medio periodo. Il risultato sono lo scetticismo o il nichilismo.

Questo è quanto vuole dire il Papa nel messaggio con la parola cultura?

Sì, proprio così. Francesco nella parte finale del messaggio di quest’anno si rivolge espressamente agli educatori, ai formatori, agli operatori dei mezzi di comunicazione, ai giornalisti, ai fotografi, agli intellettuali in nome dell’attuale crisi del linguaggio. Insomma, si potrebbe dire che si rivolge a quanti contribuiscono alla formazione delle coscienze. In altri termini: la bellezza è strumento utile per opporsi alla corruzione dell’indifferenza.

Ma l’appello alla bellezza non rischia di sfociare nell’estetica fine a se stessa?

Rispondo con due esempi. Sullo scalone centrale del Liceo classico Vittorio Emanuele II di Palermo campeggia questa frase di Peppino Impastato, un eroe della lotta alla mafia che per molti anni è stato ignorato e dimenticato, nel vano tentativo di rimuovere il valore del suo sacrificio. “Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore”. Peppino Impastato, che pagò con la vita la lotta alla mafia il 9 maggio del 1978, era convinto dell’importanza della educazione alla bellezza, “perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore”. Di questo abbiamo tutti bisogno, anche nella lotta per combattere la mafia. L’unica possibilità per non soccombere all’abitudine della rassegnazione è rimanere sempre vivi alla curiosità e allo stupore.

 

E il secondo?

Lo traggo dal titolo e dal contenuto del recente libro di don Julián Carrón: “la bellezza disarmata”. Il libro, dopo un’analisi lucidissima sulla condizione dell’uomo moderno, ove ormai non risiede alcuna evidenza, nemmeno quella della consistenza dell’uomo stesso, pone una domanda: “Ma noi cristiani crediamo ancora nella capacità della fede che abbiamo ricevuto di esercitare un’attrattiva su coloro che incontriamo e nel fascino vincente della sua bellezza disarmata?” Il libro motiva ampiamente perché ciò oggi sia ancora possibile. Io aggiungo solo che i cristiani possono dare un significativo contributo al tema della pace, che riguarda tutti e richiede il contributo di tutti, a partire dalla propria identità e dell’esperienza della fede vissuta.

 

Andiamo ad un’altra parola chiave del messaggio di quest’anno: la misericordia.

Anche in questo caso non commettiamo l’errore di ritenere che la misericordia per quest’anno debba essere come il cacio sui maccheroni: ci deve stare sempre perché c’è il Giubileo. Il Papa scrive: “La misericordia è il cuore di Dio. Perciò deve essere il cuore di tutti coloro che si riconoscono membri dell’unica grande famiglia dei suoi figli”. Quindi, la misericordia non è un affare dei cattolici, magari fino all’anno prossimo. E’ una condizione di esistenza della convivenza umana, quindi elemento costitutivo della pace. Poi però rivolto ai fedeli aggiunge: “E’ determinante per la Chiesa e per la credibilità del suo annuncio che essa viva e testimoni in prima persona la misericordia”. Quindi, la misericordia è elemento costitutivo anche dell’esperienza ecclesiale.

 

In occasione della presentazione alla stampa del messaggio di quest’anno a lei è stato chiesto un contributo ed una testimonianza sul tema delle carceri. Perché? 

Nel Messaggio c’è l’invito urgente ad adottare “misure concrete per migliorare le loro condizioni di vita nelle carceri, accordando un’attenzione speciale a coloro che sono privati della libertà in attesa di giudizio, avendo a mente la finalità rieducativa della sanzione penale e valutando la possibilità di inserire nelle legislazioni nazionali pene alternative alla detenzione carceraria“. Più volte e in varie modalità e circostanze mi sono imbattuto col problema delle carceri e numerose sono le visite ai detenuti che ho fatto. Pace e misericordia sono esperienze concrete e drammatiche che si vivono in ogni penitenziario.

 

In particolare di quale esperienza ha dato testimonianza?

Dell’ultima che ho fatto il 9 dicembre scorso a Palermo, all’indomani dell’apertura del Giubileo della Misericordia. Dopo aver ottenuto i relativi permessi e in comunione con il nuovo arcivescovo di Palermo mons. Corrado Lorefice, assieme ad alcuni professori e studenti del Parlamento della Legalità ho incontrato i detenuti della casa circondariale dell’Ucciardone. In un clima di grande commozione, dopo aver commentato la parabola del Padre misericordioso che accoglie il figlio prodigo e l’episodio dell’incontro di Gesù con Zaccheo il pubblicano, ho parlato ai detenuti della modalità di ottenere l’indulgenza del Giubileo in carcere, ogni volta che passeranno per la porta della loro cella, rivolgendo il pensiero e la preghiera al Padre ricco di misericordia. Parecchi detenuti avevano le lacrime agli occhi e mi hanno chiesto di ringraziare a nome loro papa Francesco.

 

Intanto, però, malgrado le visite e i proclami, le condizioni nelle nostre carceri sono sempre disumane. Che fare?

Mi auguro che nella Chiesa e nella società civile si tenga conto dell’articolo 27 della Costituzione italiana che recita: “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. La pena dentro la prigione ha senso se, mentre afferma le esigenze della giustizia e scoraggia il crimine, serve al rinnovamento della persona, offrendo a chi ha sbagliato una possibilità di riflettere e cambiare vita, per reinserirsi a pieno titolo nella società. La comunità cristiana è chiamata ad educare, aiutare, riabilitare, far sentire ciascuna persona degna di essere amata e di essere promossa nella vita sociale.

 

Per la giornata della pace di oggi sono in programma nella sua diocesi particolari iniziative?

Domani faremo a Carini una marcia della pace organizzata dall’Ufficio della pastorale sociale e del lavoro, dell’Ufficio catechistico, della Consulta per l’apostolato dei laici alla quale hanno aderito parecchie associazioni cattoliche a partire dall’Azione Cattolica, i rappresentanti delle Confraternite, i sindacati Cgil, Cisl, Uil. Saranno presenti un pastore valdese metodista, un pastore evangelico, un iman musulmano e un rappresentante della comunità ebraica perché la pace interessa tutte le religioni. La marcia inizierà alle ore 17,30 dalla chiesa di S. Antonino e si concluderà nella chiesa Madre di Carini dove presiederò la celebrazione eucaristica.





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