LETTURE/ Creare lavoro, quel circolo “segreto” tra intelligenza e bisogno

- Paolo Camillini

Un giorno nel villaggio di un'isola del Pacifico lo stregone Buenos Fuegos va dal capo del villaggio, Housty, e gli dice accorato: "Housty, abbiamo un problema". PAOLO CAMILLINI

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Uno dei temi ricorrenti nei media, ma anche nei dialoghi fra la gente e nei pronunciamenti delle varie autorità civili e religiose, è quello del lavoro. O meglio: della mancanza di lavoro, cioè il problema della disoccupazione. Tutti concordano sul fatto che questa sia una vera situazione di emergenza, non solo economica ma anche umana: una priorità assoluta. Conseguentemente, tutti invocano che si faccia qualcosa, in modo deciso e veloce; insomma, che “si intervenga”.

Tale esortazione non manca mai, nella mia condizione di semplice imprenditore, di lasciarmi un po’ interdetto. Per cercare di comunicare questa mia sensazione mi adatto alla moda dello storytelling.

Supponiamo un’isola del Pacifico, all’interno della quale c’è un villaggio, una comunità consolidata. Un giorno lo stregone del villaggio, Buenos Fuegos, va dal capo del villaggio, Housty, e gli dice accorato: “Housty, abbiamo un problema. L’11 per cento della forza lavoro del nostro villaggio è disoccupato. Ma quel che è più grave è che fra i giovani questa percentuale sale al 35 per cento! Bisogna intervenire”. A Housty viene subito in mente che dopo tre mesi ci sarebbero state le elezioni; non c’è un minuto perdere. Convoca il Consiglio dell’isola e stabilisce che: 1) per la gestione del governo dell’isola occorrono 10 nuovi dipendenti; 2) ogni persona che ha un’attività deve assumere almeno una persona in più, in proporzione ai suoi attuali dipendenti.

Figaros, un piccolo imprenditore agricolo dell’isola, appena sentito ciò, va da Housty e gli chiede allarmato: “Ma io, come farò a dare uno stipendio alla persona in più che devo assumere? Se avessi potuto permettermelo, l’avrei già assunta!”. Housty: “Tu, solitamente, pianti grano; allora, pianta più grano!”. Risponde Figaros: “Ma più grano da piantare non c’è”. “Pianta foglie!” sbraita Housty, pensando fra sé: “Caspita, questa è una buona idea. La devo dire a Mainardino quando torna qui per le vacanze”. Figaros vorrebbe proporre una soluzione diversa, ma non gliene viene data la possibilità. E così Housty viene rieletto; ma dopo un anno le tasse aumentano, le attività imprenditoriali falliscono e così la disoccupazione ricompare, assieme alla fame e ad un’ondata di debiti e di proteste popolar-populiste che scuotono tutta l’isola.

Detto in altro modo: basta far svolgere un’attività ad una persona perché esista il lavoro e perché ella possa avere una retribuzione? Come può un’attività permettere il lavoro e il suo compenso?

Si pensi ad un’azienda sana. A me sembra un miracolo: risolve il bisogno di un cliente — ad esempio scaldarsi quando fa freddo, portando il gas casa per casa — e, contemporaneamente, risponde ad un altro bisogno, chiamando persone a lavorare, persone che con gusto si mettono in moto e, a fine mese, ricevono una retribuzione per il loro impegno. E resta anche qualcosa perché quest’azienda faccia fronte al futuro, cioè al cambiamento. I bisogni, ossia delle mancanze, hanno generato un’abbondanza, un valore. Com’è possibile? E’ lo stupore che, forse, il primo contadino della terra ebbe quando capì bene che da quel chicco di grano che piantava e curava ne uscivano cento. Che gran cosa! Ma non “forse”: è proprio la stessa cosa. Senza una fecondità della “terra” non c’è lavoro possibile e il lavoro vero è “educere”, quasi partorire da essa quella potenzialità benefica che contiene. 

Non perdiamo il filo che lega le cose: ogni risposta ad un bisogno, come il cibo, i vestiti, la casa fino ai viaggi o ai profumi, viene dalla “terra”! Che sia terra agricola, o che siano minerali, energia, acqua, stagioni, animali o leggi della fisica… tutte le risposte ai nostri bisogni hanno in sé un “dato” che, scoperto, portato a galla, enucleato, ricombinato e messo in moto dall’uomo, genera la soddisfazione cercata. Chiamiamo l’azione dell’uomo, che vede un modo di combinare i doni della terra per rispondere alle necessità e si mette in moto per questo, “azione imprenditoriale”. 

Chiaramente non ogni cosa che si “mette sotto terra” funziona; non serve zappare a caso, innaffiare dove capita, chiamare gente a fare buche. Il lavoro — anche in fisica — è il superamento della resistenza, ricordava Solzenicyn  in un suo romanzo. L’azione deve smuovere il problema nella giusta direzione, altrimenti, da dove viene la remunerazione? Attività senza sguardo imprenditoriale dilapidano risorse, impoveriscono, e il risultato, nel tempo, non può che essere un maggiore disagio. Ci deve essere un uomo che veda un’ipotesi di lavoro, sperimenti, risparmi, investa, rischi, sudi, aggiusti il tiro fino a che il tutto si metta in moto e… vada, cammini, consista, stia su e diventi “riparo per gli uccelli del cielo”. Quanti prodotti sono il frutto di uno sguardo che ha visto, e ciò ha reso il mondo migliore per tutti: da una carrucola per tirar su il secchio dal pozzo, fino ai tubi che portano l’acqua dentro casa. E così le fotocopie, il computer, il nylon, l’aspirina, lo smartphone ecc.

Dunque, una condizione indispensabile perché ci sia il lavoro — o più lavoro — è che questa strana cosa che è l’azione imprenditoriale, diffusa in modo vario in tanti strati della popolazione, venga sempre più favorita e valorizzata.

A proposito: cosa voleva proporre Figaros a Housty? Gli voleva far notare che, se si fosse scavato un canale dalla parte alta del fiume, verso la spianata dei campi, si sarebbe impegnata molta gente a lavorare, ma poi veramente di grano se ne sarebbe avuto di più.





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