L’università in cui il Servo di Dio ha esercitato la sua missione si prefigge di formare giovani capaci di costruire un futuro per il Perù (2)

Atalaya è un piccolo centro della selva centrale del bacino amazzonico, raggiungibile solo in barca lungo il Río Tambo o percorrendo una strada sterrata, Tarma è una graziosa cittadina coloniale, nota come “la perla delle Ande”, con temperature miti e abbondanza di fiori selvatici, Nueva Cajamarca è nell’Alta Amazzonia, dov’è stata fondata poco più di quarant’anni fa, ed è in continua crescita.



Sono alcune delle cinque sedi staccate che, unite alla sede centrale e al campus presenti a Lima, formano la Universidad Católica Sedes Sapientiae (UCSS). Con sei facoltà, quattro autorevoli riviste accademiche, 13mila studenti iscritti in totale e più di 400 docenti, accordi con importanti università europee, tra cui sei italiane, è una realtà che si sta imponendo in Perù come tra le più innovative nel panorama della formazione e della preparazione professionale.



Punta ad essere entro il 2028 un ateneo riconosciuto per la sua eccellenza, basata sulla migliore innovazione scientifica e didattica, sulla formazione continua, sulla responsabilità sociale e la ricerca applicata.

L’Università Cattolica Sedes Sapientiae a Lima (Perù)

“Nostra preoccupazione principale è la dignità degli individui e lo sviluppo delle loro capacità, affinché possano servire la comunità nei settori dell’istruzione, della economia, della sanità e della tecnologia”. È un’affermazione di monsignor Lino Panizza Richero, cappuccino ligure, primo vescovo (1997-2022) della nuova diocesi di Carabayllo, che comprende gli otto distretti più settentrionali, e poveri, del dipartimento di Lima.



È su iniziativa di Panizza, oggi vescovo emerito e che ha avviato nel 2016 la causa di beatificazione di Andrea Aziani, che è sorta la UCSS, fondata il 30 maggio 1998, giorno di Pentecoste, autorizzata dallo Stato peruviano il 28 dicembre 1999 e inaugurata il 12 febbraio 2000.

Da più di 25 anni quindi sulla scena, con l’intento di formare “uomini liberi capaci di preparare le nuove generazioni al compito affascinante di educare le persone e introdurle alla realtà responsabilmente”. Parole che riecheggiano una testimonianza ascoltata a Trujillo: “Andrea aveva un modo speciale di far arrivare ai giovani il senso della realtà”.

Aziani non ha mai voluto un incarico ufficiale nella nascente università, ma ha aderito entusiasta al progetto di Panizza, offrendo sempre un contributo significativo e divenendone l’anima. Gli piaceva che non sorgesse nei quartieri borghesi ma in un contesto popolare, tra i meno abbienti.

Afferma il rettore Gian Battista Bolis (per tutti “Tista”): “Mai perdere la speranza di una possibilità positiva per l’esistenza”. Da qui la particolare attenzione alle zone del Paese prive di istituti universitari, sempre su richiesta del vescovo locale. Ad esempio la sede di Atalaya è sorta nel marzo 2008 rispondendo alla chiamata di monsignor Gerardo Zerdín e offrendo tre programmi professionali: è così diventato il primo ateneo cattolico del Vicariato Apostolico di San Ramón, una regione con forte presenza indigena e rurale.

Ma oltre a fornire un’istruzione completa e impegnata nella società, l’Universidad ha come fine ultimo “la conoscenza della verità, desiderio supremo dell’uomo”, perché questo “è il fine proprio di ogni ricerca, che in questa ricerca trova la sua dignità e la sua vera utilità”.

Il Servo di Dio durante la sua lunga presenza missionaria in Perù non è solo un professore preparato nelle sue materie e capace di coinvolgere come nessun altro gli studenti, ma diventa un punto di riferimento per tutti.

“Superdinamico, sempre inquieto, era il suo modo di donarsi agli altri”, ricorda padre Marcos Ballena. Girava per le aule e i corridoi dell’università con una borsa gonfia di libri, che prestava a tutti, perché ci teneva che i ragazzi fossero istruiti, formati, educati grazie a buone letture.

Per don Antonio Nureña, postulatore della causa di beatificazione – incontrato a Lima – Andrés mette al primo posto l’educazione, “radice di ogni persona, aiuto a crescere con dignità”. Convinto che “solo l’educazione può trasformare il mondo”, memore delle parole di don Giussani nel messaggio inviato a monsignor Panizza per l’apertura ufficiale dell’Anno accademico dell’Universidad, il 25 aprile 2000, in cui rimarca l’importanza di impegnarsi “pur tra limiti e difficoltà, in una ricerca appassionata del vero, del bello, del buono e del giusto”. Andrea lo ha fatto.

Aveva chiaro il dramma di una terra ricca di contraddizioni, con punte di estremo benessere e una povertà diffusa, situazione ancor oggi immutata. Ma “la peggior povertà non è quella economica, bensì quella umana”, scrive il 27 maggio 1991. “Da lì il degrado e la fame”. Allora “educare uomini nuovi significa far crescere una generazione capace di costruire e dare un futuro a questo povero Paese”.

Quando terminerà il processo di beatificazione (ora alla fase diocesana), sarà il primo Memor Domini ad essere elevato alla gloria degli altari, e altri Memores gli sono stati accanto e hanno accompagnato il suo cammino, tra cui Dado Peluso, in Perù 12 anni come docente e Tista, rettore della Universidad.

Leone XIV, che da vescovo a Chiclayo ha amato profondamente la realtà peruviana e conosciuto la testimonianza di fede di Andrés, in una recentissima lettera ai Memores ha espresso vicinanza e “gratitudine per il costante impegno ad essere Memores Domini, ‘memoria di Cristo’, in questo mondo e in questa ora della Storia”. I frutti della loro presenza sono ben visibili in una società così bisognosa di tutto come quella del Paese andino.

Commoventi la storia personale di Sebastiana, soccorsa da Andrés sotto un ponte e oggi donna matura e grata per l’esperienza cristiana incontrata, che le ha ridato speranza, e la scelta di Andrea [in Perù nome femminile, per questo chiamano Aziani Andrés], rimasta in università, che ha scelto la stessa vocazione alla verginità del Servo di Dio.

Per chi vi ha partecipato, il viaggio in Perù ha rappresentato un’esperienza di grande fascino, la conoscenza di una realtà molto diversa dalla nostra, ma forse umanamente non così lontana, accomunati come siamo da quella “febbre di vita” che era di Andrea Aziani, ma che dovrebbe essere di tutti coloro che cercano di dare un senso alla propria vita.

Un viaggio reso possibile grazie alla disponibilità e alla premura di Amata e di Ruggiero (“sono stato in Perù per cinque anni e lì ho capito cos’è la dinamica del dono”), oltre che alla competenza delle guide locali, tra cui spiccano Lorena e Lucho, per la loro visione equilibrata della storia del Perù: il passato coloniale non è solo dominio e sfruttamento, e i peruviani di oggi si sentono eredi di un insieme di culture unificate e mantenute vive dalla fede cristiana.

(2 – fine)

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