Donato Bilancia, serial killer dei treni, cerca redenzione nel teatro durante il suo percorso di rieducazione nel carcere di Padova
Donato Bilancia, il famoso serial killer dei treni, si è trovato ad affrontare qualcosa di inaspettato tra le mura del carcere di Padova: il teatro, un’esperienza profondamente formativa che, anche se provata nella solitudine della sua desolante condizione di detenuto, gli ha permesso di realizzare un doloroso ma importante tentativo di riscatto personale.
Donato Bilancia, condannato per diciassette omicidi commessi con una freddezza agghiacciante e spaventosa, sembrava un uomo profondamente turbato dalla sua stessa ferocia, ma nel laboratorio teatrale diretto dalla regista Cinzia Zanellato nel 2017, sembra che qualcosa in lui si sia improvvisamente trasformato: come racconta la stessa Zanellato, l’ingresso di Donato Bilancia nel gruppo non fu per niente una scelta facile da fare, tanto che la regista dichiara che le venne chiesto esplicitamente di non diffondere la sua partecipazione nel laboratorio, in quanto il clamore che ne sarebbe scaturito avrebbe potuto determinare danni inevitabili al lavoro del resto dei protagonisti.
Quello del carcere è un contesto particolare quanto surreale, dove ogni attore – innocente o colpevole che sia – ha l’opportunità di sperimentare ed esplorare nuove forme di comunicazione, di espressione, e forse di autopercezione. Donato Bilancia, che tra il 1997 e il 1998 scatenò il panico in Liguria con una lunga scia di omicidi dalla spaventosa brutalità, si trovava nel pieno di un percorso di rieducazione e riabilitazione che, per quanto difficile da comprendere a pieno, rappresentava uno sforzo di redenzione per un uomo dall’animo inquieto, tanto che, proprio in quel laboratorio, lontano dalle cronache spietate, cercava di confrontarsi con una realtà che sembrava lontanissima da lui.
Zanellato ricorda poi la complessità nel rapportarsi con lui: era un uomo già in età avanzata, con una salute fragile, che faticava a mantenere il contatto con sé stesso, ma in quelle ore di laboratorio il killer dei treni stava facendo qualcosa che mai si sarebbe immaginato: guardarsi dentro.
Donato Bilancia stava disperatamente cercando di riscoprire la sua parte più intima e profonda, e il teatro rappresentava un passo capace di tracciare una via d’uscita da un baratro di buio e di violenza; nonostante la sua nomina di “serial killer” incancellabile, iniziava a rendere visibili segni di vulnerabilità e fragilità, anche se non definibili come una vera e propria conversione a Dio, anche se spesso si lasciava andare a gesti sconvolgenti per lui, come quando chiese di intonare le note dell’Ave Maria.
Donato Bilancia: un uomo che cercava redenzione nel silenzio del suo dolore
Il cammino di Donato Bilancia nel laboratorio teatrale a Padova ha generato riflessioni e domande sull’importanza delle attività culturali in carcere e sulla loro funzione nel processo di recupero dei detenuti: il teatro, in particolar modo, è stato un mezzo di espressione fondamentale, che permette anche a chi ha commesso i crimini più atroci di confrontarsi con la propria parte più privata e, forse, di aprirsi a una nuova forma di salvezza.
Il caso di Donato Bilancia, anche se indissolubilmente legato a un passato di omicidi, non può essere ricondotto a una semplice cronaca di follia e violenza: dietro la sua figura di assassino c’è un uomo che, pur avendo perso tutto, cercava ancora una via di comunicazione con sé stesso e con il mondo.
Questo percorso tortuoso, non esente da difficoltà e contraddizioni, va inquadrato in un contesto più vasto di riflessioni sulla giustizia riparativa, una filosofia non tanto punire quanto, piuttosto, scoprire un punto di riappacificazione tra il colpevole e la società: un processo complesso che, come nel caso di Donato Bilancia, richiede uno sforzo immane, ma che può, in alcuni casi, generare sorprese inattese.
L’idea che la cultura e l’arte possano servire da strumento di cambiamento anche in coloro che sono macchiati da un passato criminale è un concetto che non trova sempre una risposta positiva e favorevole da parte delle istituzioni e dell’opinione pubblica, ma la storia di Donato Bilancia è la prova indiscutibile di come la riabilitazione, se supportata e aiutata da programmi culturali ed educativi adeguati, possa essere una strada percorribile e fruttuosa non solo per il detenuto, ma per l’intera comunità.
