Le ricette di Draghi per svegliare l'Europa da follie e lentezze: “assurdo imporre stop motori auto senza infrastrutture elettrica. Serve debito comune”
“PIÙ COMPETITIVITÀ? MENO EURO-FOLLIE”: LA STRONCATURA DI DRAGHI SULLE POLITICHE DELL’AUTO
Questa volta con toni più formali e di etichetta, come richiedeva l’occasione della relazione sul Rapporto per la competitività UE presso l’Eurocamera, ma è pur sempre una strigliata quella che Mario Draghi ha lanciato stamattina parlando a tutti gli “attori” in gioco, dagli Stati al Parlamento Europeo fino, soprattutto, alla Commissione UE. L’ex Premier italiano, scelto da Von der Leyen per stilare il nuovo rapporto sulla competitività in grado di rilanciare la “Bussola” dell’Europa, compie il suo dovere fino in fondo: e così, dopo aver sottolineato sul “FT” di quanto l’Ue si sia di fatto imposta dazi da sola e che non sono le politiche di Trump quelle maggiormente nefaste per Bruxelles, in alcuni passaggi oggi in Aula è sembrato tuonare contro diversi mini o grandi “eurofollie” viste in questi ultimi anni di “coma” della crescita europea.
Un esempio su tutti, Draghi ritiene che l’affossamento del settore automotive sia stato un errore strategico gravissimo, specie perché non ha neanche portato i risultati sperati in termini di sostenibilità e lotta contro la decarbonizzazione: come sottolinea nel suo discorso all’Eurocamera, per poter accelerare davvero sul fronte “green” occorre in primo luogo «allineare strumenti e obiettivi». Non si può pensare di impedire lo stop totali dei motori a combustione senza prima costruire una serie rete infrastrutturale di sistemi di ricarica o comunque di sussistenza dell’energia elettrica/ibrida: ben venga in tal senso l’apertura di un recente dietrofront della Commissione Ue almeno per i motori ibridi, ma il problema è l’essere arrivati non solo a teorizzarlo ma anche normarlo in questo modo il blocco dei motori endotermici entro il 2035. Draghi è nettissimo su questo, serve «allineare le cose» non si può imporre uno stop senza imporre anche una struttura di interconnessioni per poterlo realizzare.
TORNA IL “DEBITO BUONO” DI MARIO DRAGHI COME SOLUZIONE PER USCIRE DALL’IMPASSE IN CUI SI È INCASTRATA L’EUROPA
Allargando invece l’orizzonte verso il futuro più prossimo dell’Unione Europea, non è per nulla roseo quanto l’ex BCE identifica nelle mancanze e ritardi messi in campo da Bruxelles in questi anni: la possibilità concreta che l’Europa possa essere lasciata solo a garantirsi la propria sicurezza, e pure quella dell’Ucraina se non ci sarà un accordo stabile di tregua. Ogni risposta della UE deve essere perciò «rapida», ricalca più volte nel suo discorso all’Eurocamera Mario Draghi, puntando sulla competitività come arma per la crescita che purtroppo ancora ristagna e molto sul nostro territorio.
«Velocità, scala e intensità essenziali», i tre fattori su cui ripartire, ma con una base stabile di investimenti che occorre sia il più possibile slegato dalle rigide regole sul Patto di Stabilità: ed ecco tornare il concetto di “debito buono” teorizzato più volte dall’ex Presidente dell’Eurotower in questi anni. Come calcola il suo rapporto sulla competitività, servono tra i 700 e gli 800 miliardi all’anno di investimenti tramite debito comune per poter rilanciare davvero un Continente altrimenti semi-morente, nonostante l’attuale vita benestante dei propri cittadini: «titoli di debito sovranazionale», che però devono essere seguiti dal controllo e la verifica dell’Europarlamento altrimenti si innesteranno le lentezze burocratiche e anche le potenziali riforme da lanciare potrebbero venir frenate. Non bisogna più essere una “somma di parti”, conclude Draghi dopo aver rilanciato l’energia, la difesa, la sicurezza e la cura per le industrie UE come capisaldi nei prossimi investimenti (assieme a tecnologia e AI): «dobbiamo agire come un unico Stato», dato che per dimensioni e allargamento del mercato interno non saremmo molto lontani dagli Stati Uniti.
