FINANZA/ Le domande scomode sull’indipendenza della Banca d’Italia

- Giovanni Passali

Si parla molto di indipendenza della Banca d’Italia, tralasciando certe domande importanti, anche sul compito di una banca centrale

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La presunta indipendenza di Bankitalia è il tema caldo di questi giorni. Di fronte alle evidenti lacune nella sorveglianza del sistema bancario, lacune ripetute negli anni, alcuni esponenti del Governo hanno iniziato a parlare di rimozione di azzeramento dei vertici di Bankitalia e Consob. La risposta è stata veemente quanto “sbilanciata” su un altro tema: infatti, nessuno ha obiettato sulla mancata vigilanza, però tutti quelli che hanno reagito hanno affermato che Bankitalia deve rimanere indipendente. Ma indipendente da chi? E soprattutto indipendente a quale fine?

Infatti, l’indipendenza di Bankitalia è assurta a “dogma” intoccabile da quando l’ideologia liberista ha preso il potere nelle istituzioni, soprattutto in quelle europee, senza mai specificare quali sono i limiti di questa indipendenza e soprattutto senza specificare chi controlla questa indipendenza. La nomina a Governatore di Bankitalia viene disposta dal Presidente della Repubblica, su indicazione del Presidente del Consiglio. Ma non è istituita alcuna autorità di controllo, né è definita in qualche modo alcuna presunta autonomia. Questa è una pura ideologia che si è affermata in questi utili decenni, con l’affermarsi dell’ideologia liberista.

Un episodio della storia può chiarire come siamo giunti a questa situazione. Nel 1979 il governatore era Paolo Baffi, economista insigne e stimato. Era assolutamente contrario all’unione monetaria come lo era all’idea del “serpentone monetario”, cioè al fatto di dare alla lira un’oscillazione limitata rispetto alle altre monete. I suoi funzionari lottarono duramente contro i funzionari delle altre banche centrali e alla fine ottennero che la lira potesse oscillare di un 6%, mentre le altre monete potevano oscillare di un 2%. La sua idea era chiara: le oscillazioni della moneta servivano ad assorbire gli shock dei mercati finanziari e limitare queste oscillazioni avrebbe riversato questi shock sul mercato del lavoro.

Per comprendere questa posizione, può bastare un episodio. Il 20 gennaio 1976, Baffi decise la chiusura del mercato ufficiale dei cambi per tutelare la lira dalle manovre speculative seguite alle dimissioni del quarto governo Moro intervenute pochi giorni prima. Nel marzo 1979 accade un fatto sconvolgente: il Governatore Paolo Baffi e i vertici di Bankitalia sono incriminati per favoreggiamento e interessi privati in fatti di ufficio. Il vicedirettore della Banca d’Italia, Mario Sarcinelli, viene tratto in arresto. Le accuse riguardano una ispezione a una banca (il Credito industriale sardo) non trasmessa alla magistratura. Nel giugno del 1979 Baffi si dimette e inizia l’era Ciampi, quella che poi portò al divorzio tra ministero del Tesoro e Bankitalia, alla fine della crescita dell’economia italiana e infine a Maastricht e all’euro. E il lavoro? Quello non è più un obiettivo, ma lo è solo la “stabilità dei prezzi”, cioè la conservazione del valore della moneta che chiaramente favorisce chi la moneta ce l’ha e sfavorisce chi la prende a prestito.

Per collocare meglio questo episodio occorre dire che alla fine del 1978, alla faccia dell’autonomia di Bankitalia, Baffi e Sarcinelli furono convocati due volte dal ministro del Tesoro Stammati affinché risolvessero la questione dei debiti di Caltagirone, noto imprenditore edile, nei confronti di Italcasse, della quale proprio loro avevano azzerato il consiglio di amministrazione e scoperto i debiti di Caltagirone. Ma loro si rifiutarono. Sarcinelli venne arrestato mentre lavorava a un fascicolo contro Sindona (noto creatore della Loggia P2) per i suoi maghegggi finanziari. In seguito non solo Baffi e Sarcinelli vennero completamente assolti, ma venne fuori che il Ministro Stammati apparteneva alla Loggia P2.

All’epoca comunque ben 147 economisti scrissero un appello pubblico a favore di Baffi e Sarcinelli: “Conosciamo da anni la dirittura morale, l’impegno intellettuale e civile e la competenza tecnica di Paolo Baffi e Mario Sarcinelli; siamo certi delle loro assoluta correttezza nello svolgimento dei compiti del loro ufficio. […] Il Paese ha bisogno che uomini retti come Baffi e Sarcinelli ed istituzioni di alto prestigio ed efficienza quali la Banca d’Italia possano operare serenamente per il bene di tutti”. Per risposta vennero convocati in massa come testimoni dai magistrati di Roma. Negli anni successivi la testimonianza in un processo del faccendiere Pazienza rese noto in forma ufficiale quello che tutti avevano già capito: l’incriminazione di Baffi e Sarcinelli era stata decisa a metà anni ‘70 dalla Loggia P2 capitanata da Licio Gelli.

Dopo aver fatto fuori Baffi e con l’inizio dell’era Ciampi inizia anche l’era del dogma sull’indipendenza della Banca d’Italia. Quando oggi sentiamo parlare della presunta indipendenza della Banca d’Italia, dovremmo ricordarci come è nata questa storia dell’indipendenza. E dovremmo chiederci “indipendenza da chi?”. Anche dalla magistratura? E indipendenza in funzione di cosa? A cosa serve la presunta (pure questa) stabilità monetaria se l’economia va a rotoli, la disoccupazione rimane insopportabilmente alta e il resto del mondo va a esplode di proteste e violenze?

La Francia è in fiamme per la protesta dei gilet gialli per la quattordicesima settimana, le proteste dilagano anche in Spagna per l’inettitudine di uno dei governi peggiori della storia; in Albania la popolazione che protesta in piazza (sempre contro il governo) tenta l’assalto al palazzo. E cosa fanno i media italiani? Mettono in risalto servizi sul riscaldamento globale e amplificano la protesta di 200 studenti sullo stesso tema. Magari di questa menzogna parlerò in un prossimo articolo.





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