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Home » Economia e Finanza » FINANZA/ Dal deficit agli investimenti, i consigli per una nuova manovra

  • Economia e Finanza

FINANZA/ Dal deficit agli investimenti, i consigli per una nuova manovra

Giuseppe Pennisi
Pubblicato 3 Dicembre 2018
tria

Giovanni Tria (Lapresse)

I dati economici dell'Italia recentemente diffusi suggeriscono di rivedere la manovra e di reimpostare la trattativa con la Commissione europea

“La Mort Subite” è una nota brasserie di Bruxelles, vi si mangia e si beve ancora meglio. Vi si danno spesso appuntamento funzionari dell’Unione europea e componenti delle Rappresentanze Permanenti degli Stati dell’Ue. C’è stato naturalmente uno scambio di vedute, tra un piatto e l’altro e tra un bicchiere e l’altro, dopo la riunione del 29 novembre in cui gli sherpas (di norma Direttori generali del ministero dell’Economia e delle Finanze) dell’Ecofin e dell’Eurogruppo hanno deciso di proseguire verso l’apertura di una procedura d’infrazione per disavanzo e debito eccessivi nei confronti dell’Italia.


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Naturalmente, allora non erano ancora giunti i dati, piuttosto preoccupanti, diramati il 30 novembre dall’Istat (andamento economico per il terzo trimestre e prospettive per il medio termine) e del Centro Studi Confindustria (produzione industriale) da cui si deduce che la flebile ripresa pare giunta al capolinea e che nel 2019 la crescita del Pil sarà attorno allo 0,7%, non sull’1,5% come prospettato nel Documento programmatico di bilancio e, quindi, nelle ipotesi sottostanti la Legge di bilancio.


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Già la sera del 29 novembre girava la battuta secondo la quale “se Giuseppe Conte vuole evitare la procedura d’infrazione deve rivolgersi a San Padre Pio, di cui dice di essere devoto, perché San Gennaro è troppo occupato a tentare di tutelare Luigi Di Maio e i suoi congiunti”. Si sottolineava soprattutto che la tattica negoziale nella trattativa con l’Ue è male impostata ed è priva di strategia. Non si tratta di “numerini”. Anche se il vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini si è già detto disposto a una riduzione dell’obiettivo per il rapporto tra disavanzo e Pil dal 2,4% al 2,2% o anche al 2% del Pil, a consuntivo, sulla base delle nuove stime di crescita rischia di essere attorno al 3,5%-4% del Pil provocando un balzo del rapporto tra stock di debito e Pil e aggravando le difficoltà di collocamento dei titoli dell’Italia.


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Il vero nodo, però, non riguarda i parametri sanciti a Maastricht e negli accordi intergovernativi successivi, ma la stasi della produttività registrata negli ultimi due decenni. La politica economica, di cui il Dpb e la Legge di bilancio sono il frutto, non fa nulla per sfiorare questo nodo, anzi può aggravarlo, ampliando l’area del “lavoro nero”, dilatando l’evasione tributaria e contributiva, creando mega strutture per incarichi a funzionari “fedeli” dietro il paravento della promozione degli investimenti pubblici (che invece restano al palo come nel 2016-2018), bloccando le infrastrutture fisiche indispensabili per le attività delle imprese (come Tav, Terzo Valico, Pedemontana), trascurando le infrastrutture immateriali.


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In aggiunta, mentre per far quadrare contabilmente i “numerini” si lancia la prospettiva di ricavi da privatizzazioni (quali, nessuno pare saperlo), l’Italia si imbarca in un nuovo programma di nazionalizzazioni. In primo luogo di quell’Alitalia che è già costata ai contribuenti 70-80 miliardi di euro ed è destinata, quindi, a far crescere il debito pubblico. In secondo, con la banda ultralarga pubblica scorporata da Tim, e di cui si porterà in dote 10-15 miliardi di debito. In terzo dalla Cassa depositi e prestiti che si vorrebbe trasformare in una banca di sviluppo pubblica mentre dovrebbe restare il custode del risparmio postale degli italiani.


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A Bruxelles si ricorda che per intraprendere la strada verso l’unione monetaria, nel 1993 l’Italia firmò Il protocollo Andreatta-Van Miert (rispettivamente ministro degli Esteri e Commissario europeo) in cui ci si impegnava a portare entro tre anni l’indebitamento delle imprese pubbliche “a livelli fisiologici, cioè a livelli accettabili per un investitore privato operante in un’economia di mercato”. Perché questo dietrofront verso uno statalismo che promette più debiti non più crescita?

I lineamenti di una politica economica per la crescita sono illustrati in un breve libro appena uscito di Pierluigi Ciocca, che è stato Vice Direttore Generale della Banca d’Italia (Tornare alla Crescita-perché l’economia italiana è in crisi e cosa fare per rifondarla – Donzelli Editore 2018). Vengono declinati in otto punti: a) riequilibrio (o più precisamente pareggio) di bilancio); b) investimenti pubblici ben preparati e ben valutati; c) un nuovo “diritto dell’economia” in linea con le esigenze delle attività produttive; e) miglioramento della produttività; f) perequazione distributiva; g) una strategia per il Sud); h) una nuova politica europea che ammetta la golden rule per gli investimenti pubblici (ossia non computarli al fine dei parametri di Maastricht) e spinga al riequilibrio i Paesi (come la Germania) in surplus con l’estero. Molte di queste idee potrebbero essere utili al Governo nel riformulare Dpb e Legge di bilancio e trattare con l’Ue.


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