La cronaca ci offre ancora casi di femminicidio. Per contrastarli occorre qualcosa di più di un inasprimento delle pene
Sono sempre troppi i nomi delle donne ammazzate in Italia tutti i giorni: Pamela, Giulia, ancora Chiara e tante altre… Mi ricordano l’enorme cartellone in piazza che segna ancora gli anni, i giorni le ore che passano per le e gli ostaggi di Hamas dove non solo c’è pietà, ma anche e spesso si raccontano l’accanimento sulle torture che queste subiscono prima di morire.
E così non solo non cresciamo nella consapevolezza che la loro esistenza privata deve rimanere protetta, ma rischiamo di infliggere a queste creature in cui si mette in prima pagina la loro storia un’altra tragica sofferenza.
Che siamo un popolo curiosamente tenace nel condividere nel bene e nel male i sentimenti ce lo dicono i talk show, i giornali, i farneticanti e compulsivi social, quelle paginate e trasmissioni che si attardano nello scavare nella vita privata di queste vittime, anche ritornando sui fatti con un funambolismo di ipotesi che sconcerta, prima ancora o durante gli accertamenti delle autorità, drammatizzando a beneficio dell’auditel, con una presenza di ospiti in studio che si alternano al microfono che evidentemente soddisfa la platea, ma restituisce una massa spesso difforme di addetti ai lavori sia paludati che solo “cd esperti” in femminicidio quale che sia l’angolo di visuale disciplinare – quando va bene – da cui provengono.
Reato grave, gravissimo che colpisce donne di ogni età e cultura e si tratta di un tema cruciale per una comunità di destini com’è il nostro Paese, il quale continua a vivere momenti di incertezza data la situazione violenta in cui crescono i nostri piccoli adolescenti e studenti con la necessità di soddisfare quelle esigenze di cultura che si manifesta quotidianamente e che pare non essere in grado di essere soddisfatta.

Come si può non condividere la scelta di bloccare l’educazione sessuale a scuola quando assistiamo a delegazioni dell’Arci che offrono moduli formativi alle e agli studenti delle medie con un’interdisciplinarietà gestita a senso unico? Come possiamo non avere dubbi su quale educazione culturale quando una preside in occasione delle manifestazioni, anche queste a senso unico e politicizzate a favore di un terrorismo carsico che esplode nelle piazze, sollecita la partecipazione delle classi facendosi schermo di un diritto al sapere e alla condivisione confondendo il diritto allo studio e alla storia?
La cultura bisogna saperla insegnare e ancora prima essere in grado di discernere e aver comunque un bagaglio di conoscenze adeguate. Sugli assassini delle donne il reato è stato riconosciuto come reato autonomo in Italia con l’approvazione del DDL 1433/2025.
Purtroppo una tutela penale specifica contribuisce a riprodurre quelle stesse asimmetrie di potere che intende contrastare, confermando l’idea di una “debolezza” femminile come caratteristica intrinseca anziché come prodotto di specifiche dinamiche socio-culturali che invece vanno sviluppate con l’implementazione di politiche sociali, educative e culturali di medio-lungo termine, che l’esperienza comparata indica come significativamente più efficaci nel contrastare il fenomeno nelle sue radici.
Occorre spostare il focus dall’inasprimento sanzionatorio ex post verso politiche educative capaci di promuovere modelli relazionali fondati sulla parità. Servono interventi mirati a favorire un’autonomia economica delle donne, ma anche politiche di conciliazione vita-lavoro, misure di sostegno all’occupazione e servizi di welfare adeguati, capaci di incidere profondamente sulle dinamiche di subordinazione che costituiscono il substrato della violenza di genere.
E non ultimo come importanza, una formazione specifica degli operatori del sistema giudiziario, sanitario, delle forze dell’ordine e di docenti preparati rappresenta un elemento imprescindibile per il riconoscimento precoce dei fattori di rischio e aiutare a crescere i giovani.
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