Il riarmo in Germania potrebbe ridare vigore all'industria manifatturiera in crisi: negli ultimi anni sono stati persi 250mila posti di lavoro secondo il FT
In una Germania che si trova al centro di una delle peggiori deindustrializzazioni della sua storia recente, la corsa al riarmo fortemente sostenuta da Bruxelles e Washington sembra poter essere una buona occasione per rilanciare l’industria manifatturiera: a dirlo è un’analisi del Financial Times che ha notato come i vecchi stabilimenti produttivi di diversi settori industriali – chiusi dalla crisi energetica scaturita dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia – stanno venendo progressivamente riqualificati in imprese per la produzione di armamenti; il tutto – però – con la non trascurabile variabile dell’opinione pubblica della Germania che non sembra essere particolarmente incline né al supporto militare all’Ucraina, né all’effettiva corsa agli armamenti.
Procedendo per ordine, è bene precisare immediatamente che allo stato attuale la crisi produttiva industriale in Germania ha tutti i tratti di quella grave deindustrializzazione che seguì all’unificazione dopo la Guerra Fredda e la caduta del muro di Berlino: dal 2021 a questa parte i settori produttivi più energivori hanno ridotto la loro produzione del 20 per cento e si contano già più di 250mila posti di lavoro persi – in larghissima parte nel settore manifatturiero -; il tutto con decine e decine di stabilimenti (anche storici, come nel caso della Liebig di Görlitz, o quello della Volkswagen a Osnabrück) che hanno chiuso i battenti dopo anni di profitti alle stelle.
La Germania tra deindustrializzazione, riarmo ed opinione pubblica divisa: le armi sono un’opportunità o un rischio?
In questo contesto, con un’economia fortemente incentrata sulla manifattura industriale – e non è un caso il successo delle auto prodotte in Germania, oggi in fortissima crisi – l’opzione del riarmo potrebbe portare un’importante ventata di aria fresca: lo stabilimento della Liebig citato prima, per esempio, è stato acquisito dal produttore di componenti per carri armati KNDS che ha promesso di conservare almeno il 50% dei 700 ex dipendenti; mentre quello ex Volkswagen vede interessanti Papperger e Rheinmetall, produttori di carri armati e munizioni che hanno promesso di investire 55 miliardi di euro e di conservare 300 posti di lavoro per gli ex dipendenti.
Sempre non a caso, le principali aziende del settore della difesa della Germania – ovvero Rheinmetall, Diehl Defence, Thyssenkrupp Marine Systems e MBDA – negli ultimi tre anni hanno aumentato le assunzioni del 40% per un totale di oltre 16mila nuovi assunti, distribuendo al contempo dividendi record (tra il 25 e il 42 per cento) agli azionisti, segnale chiaro che il settore è vivo e in fortissima crescita; anche – e forse soprattutto – grazie a quell’aumento della spesa militare governativa dell’80% che Germania ha attraversato nei soli ultimi 4 anni.
In tutto questo – accennavamo già prima -, però, non è del tutto chiara la posizione dei cittadini della Germania che pare essere nettamente divisa in due schieramenti: da un lato chi nota gli effettivi benefici che il riarmo sta avendo sulla martoriata industria tedesca; dall’altro chi da anni si oppone fermamente al sostegno all’Ucraina e alla corsa agli armamenti, temendo che si possa ripetere una sorte di Prima guerra mondiale, ben riassunto – quest’ultimo schieramento – dalla fortissima crescita di consensi nei partiti contro la guerra, con l’AfD in prima linea.
