Il conflitto tra Israele e Iran dovrà essere affrontato dal G7 e non sarà semplice farlo, visti anche gli altri fronti aperti
Si riunisce oggi in Canada un G7 pieno di inquietudini e contraddizioni. Alla guerra in Ucraina che non vede tregua all’orizzonte e alla guerra commerciale che va avanti tra un passo avanti e due indietro, s’aggiunge la doppia guerra in Medio Oriente: prima a Gaza e ora in Iran. I sette Paesi più industrializzati stavano per tirare un sospiro di sollievo e di speranza proprio guardando al conflitto tra Stati Uniti e Cina. Le borse che nei giorni scorsi avevano registrato questa sia pur momentanea tregua sono tornate a ballare, il prezzo del petrolio grezzo è subito risalito a 73 dollari (+7%) e torna il rischio di forti tensioni sul mercato dell’energia. Guai se venisse bloccato lo Stretto di Hormuz.
Donald Trump era venuto a più miti consigli, accettando per esempio la superiorità cinese nel trattamento dei minerali strategici. Il Wall Street Journal ha scritto che si tratta di una ritirata tattica e Pechino è in vantaggio anche perché “Trump non ha nessuna strategia commerciale”. La partita dei dazi non è finita sia chiaro, il Presidente americano ha rilanciato di nuovo la minaccia all’industria dell’auto. Ma forse potremmo togliere l’aggettivo commerciale e sostituirlo con politica estera. Proprio l’attacco israeliano all’Iran lo dimostra.
Benjamin Netanyahu ha deciso di lanciare l’offensiva alla vigilia dell’incontro tra Washington e Teheran sul nucleare per il timore, scrivono molti analisti, che alla fine l’ondivaga vaghezza trumpiana finisse per essere messa in scacco dal regime degli ayatollah deciso a fare nuovi passi avanti verso la bomba come ha denunciato l’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Non sono ancora passi decisivi, ma l’Iran stava violando i suoi precedenti impegni e ora ha ricevuto un colpo molto duro anche se non decisivo perché gli impianti cruciali sono sotto le montagne.
Netanyahu ha parlato 40 minuti con Trump prima dell’attacco, non è chiaro se abbia ricevuto un via libera di fatto, lasciando a Washington la finzione di non essere in nessun modo coinvolto. In ogni caso, è la conferma che l’Amministrazione americana si muove a zig zag. Trump aveva vinto le elezioni promettendo al popolo Maga di fare la pace in un batter d’occhio ovunque nel mondo e ritirarsi a casa propria, invece tra conflitti armati e commerciali la guerra è sdoganata a parole e nei fatti.
La Nato si riunisce tra poco più di una settimana per decidere un aumento delle spese militari dei Paesi membri fino al 5% del prodotto lordo. Per l’Italia si tratta di moltiplicare per tre lo stanziamento per la difesa. La discussione è aperta sui tempi e sui modi, la scadenza del 2032 è troppo ravvicinata e persino Londra (che oggi spende poco più del 2%) ha detto di non farcela, il Governo britannico ha deciso un leggero aumento sul bilancio del prossimo anno e ha rinviato al nuovo Parlamento scelte più impegnative.
Anche se alla fine si arriverà a un periodo di dieci anni, è chiaro che bisogna cominciare subito, il che significa che il ministro dell’Economia dovrà rifare i conti per il prossimo anno. Non c’è da nutrire false speranze, ci vorranno più cannoni, il problema da risolvere è non farlo ricorrendo a meno burro.
I Paesi del G7 confermeranno il loro appoggio all’Ucraina, ma è chiaro che Trump pensa di spostare la gran parte del fardello sulle spalle degli europei. Ciò aggiunge altre spese e altri aiuti anche militari. Il conflitto che doveva finire con una telefonata tra The Donald e Zar Vlad sarà lungo, la Russia ha lanciato la sua terza offensiva d’estate e gli ucraini sono impegnati in una guerra difensiva mostrando capacità spesso impreviste di contrattacco oltre la linea del fronte, fin nel cuore della Russia, fino in Siberia. Più difficile sarà trovare una intesa tra i Sette sull’Iran.
Emmanuel Macron ha detto che bisogna difendere Israele, anche se la Francia è tra i Paesi che più hanno rapporti economici con Teheran. I francesi hanno sempre avuto una linea ambigua, o meglio più linee sul Medio Oriente, eredi del protettorato sul Levante e del loro passato coloniale in Nord Africa. Tuttavia non va dimenticato che nel 1967 Israele attaccato da Egitto, Siria e Giordania combatté con i caccia francesi non americani.
Anche l’Italia ha legami economici con l’Iran e ha mantenuto un’ampia rete nonostante le sanzioni. Nel vertice a palazzo Chigi venerdì, prima della partenza per Kananaskis nella montuosa provincia dell’Alberta, Giorgia Meloni ha ribadito il diritto di difendersi da parte di Israele, ma spera in una qualche soluzione diplomatica tutta ancora da trovare e non vuole “esasperare” i rapporti con Teheran. Se quella israeliana è davvero la “strategia della decapitazione” che punta a far cadere il regime degli ayatollah, la guerra sarà lunga, non si tratta di una blitzkrieg.
Il ministro degli Esteri Tajani insiste: americani e iraniani debbono sedersi al tavolo delle trattative, ma lui negava che un attacco fosse imminente quando i duecento aerei con la stella di David erano già in volo. “I colloqui ormai sono inutili”, hanno detto ieri gli iraniani.
La diplomazia tace, parlano le armi. E dal G7 non c’è da attendersi nessuna svolta concreta. Non ci sarà comunicato congiunto, ma per ora sette brevi dichiarazioni su temi economici. Ma la guerra in Iran dovrà aggiungersi al menu. Gli europei possono solo trattenere il fiato, i giapponesi sono allarmati dalla Cina e temono che Trump voglia rimettere in discussione anche l’accordo Indo-Pacifico aumentando così le mire di Xi Jinping su Taiwan. Ma il dramma è che anche gli Stati Uniti sono spettatori di un nuovo conflitto che avrebbero voluto evitare.
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