Il minimale contrattuale è importante per il calcolo della contribuzione previdenziale di un lavoratore. È bene sapere cosa dice la giurisprudenza in merito

La contribuzione previdenziale non è sempre e necessariamente determinata in base alla retribuzione dovuta al lavoratore in base al/ai contratto/i collettivo/i applicato/i dal datore di lavoro ed eventualmente al contratto individuale. L’art. 1, comma 1, d. l. n. 338 del 1989 stabilisce il c.d. minimale contrattuale, ossia un livello minimo inderogabile di retribuzione su cui va calcolato l’ammontare dei contributi dovuti.



Poiché in materia sono frequenti le controversie giudiziali, pare utile richiamare in sintesi la disciplina del minimale, così come interpretata dalla giurisprudenza:

a) l’importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore all’importo di quella che ai lavoratori di un determinato settore sarebbe dovuta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale;



b) il contratto collettivo così individuato resta parametro esterno al rapporto di lavoro, perciò non si ha estensione erga omnes del suo campo di applicazione;

c) il “settore” di riferimento per stabilire il contratto parametro è quello corrispondente all’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore, secondo il disposto dell’art. 2070, comma 1, c.c. (Cass. 17/7/2024, n. 19759);

d) gli accordi collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali non maggiormente rappresentative su base nazionale, quelli aziendali o provinciali e gli accordi individuali hanno rilevanza ai fini contributivi solo se danno luogo a una retribuzione superiore al minimale, mentre in caso contrario restano irrilevanti. Ciò perché l’art. 2115 c.c. rende la materia previdenziale indisponibile all’autonomia individuale e collettiva, con inderogabilità dell’art. 1, l. d.l. n. 338 del 1989 (Cass. 16/04/2025, n. 9952);



Veduta esterna del palazzo della Corte di Cassazione (Foto 2024 ANSA/GIUSEPPE LAMI)

e) questa conclusione vale anche in presenza di accordi di prossimità, di cui all’art. 8, d.l. n. 138 del 2011 (Cass.15/07/2025, n. 19467);

f) l’onere della prova della maggiore rappresentatività (o della rappresentatività comparata, vedi sotto) è in capo all’ente previdenziale (Cass. 9/10/2018 n. 24683);

g) ove per uno specifico settore non risulti stipulato un contratto collettivo, l’Inps può ragguagliare la contribuzione dovuta alla retribuzione prevista dalla contrattazione collettiva di un settore affine, restando a carico del datore di lavoro l’onere di dedurre l’esistenza di altro contratto affine che preveda retribuzioni tabellari inferiori (Cass. 18/11/2020, n. 26266);

h) in caso di pluralità di contratti collettivi stipulati da associazioni maggiormente rappresentative intervenuti per la medesima categoria, la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi previdenziali e assistenziali è quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative nella categoria (art. 2, c. 25, l. n. 549 del 1995);

i) come è stato chiarito, questa norma «opera esclusivamente nelle ipotesi in cui, stabilita l’applicabilità del contratto nazionale in luogo di quelli locali o individuali, vi sia una pluralità di contratti collettivi nazionali intervenuti per la medesima categoria» (Cass. 23/6/2021, n. 17983);

l) infine, come già si è detto criticamente in altro articolo, secondo la più recente giurisprudenza, l’operatività del minimale contrattuale «concerne non soltanto l’ammontare della retribuzione c.d. contributiva, ma altresì l’orario di lavoro da prendere a parametro, che dev’essere l’orario di lavoro normale stabilito dalla contrattazione collettiva (o dal contratto individuale se superiore)»; ciò significa che «non sussiste alcuna possibilità per i datori di lavoro di modulare l’obbligazione contributiva in funzione dell’orario o della stessa presenza al lavoro che abbiano concordato con i loro dipendenti» (Cass. 18/11/2025, n. 30428; Cass. 14/5/2025, n. 12974).

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