Da sempre l’essere umano ha cercato non solo di curare il proprio dolore, ma anche di attribuirvi un significato, di dare un senso a questa condizione. Se in epoca più antica la malattia era considerata una sorta di castigo, nella letteratura moderna è invece spesso sinonimo di ribellione, di uscita dall’ordinario, di caos imprevedibile: basti pensare al disagio sociale rappresentato con la peste da Manzoni, o alla poetica di Kafka per la quale il destino dell’esistenza individuale è in mano a forze inconoscibili che operano in maniera imperscrutabile. Anche nel caso di Anna, protagonista del romanzo di Laura Giulian Fichi di fine estate (Tau editrice, 2024), la notizia di dover combattere una rarissima patologia arriva come un fulmine a ciel sereno e porta inevitabilmente disordine e domande, proprio quelle cinque W alla base dei suoi articoli giornalistici, che prima la scuoteranno e poi la indirizzeranno verso un autentico cambiamento, fatto di abbandoni, conferme e scoperte.
Si troverà infatti a dover fare i conti con rapporti logori, a provare gratitudine per vicinanze preziose e a misurarsi con inaspettate presenze che daranno un senso nuovo ai suoi giorni. A metterla alla prova, sarà in particolare un libro dal dorso rosso: il suo essere al contempo oggetto tanto misterioso quanto perfettamente identificabile rispecchierà infatti il viaggio dell’animo di Anna, che, per via di un’ordinarietà opprimente, ha dimenticato ciò che la rende autentica, ma che ammetterà presto di essere desiderosa di riconoscersi. Proprio come quel volume, inatteso eppure chiaramente destinato alle sue mani, capace di portare con sé una gradazione di sentimenti opposti e totalizzanti che cambieranno ogni cosa e che la metteranno di fronte ad una prospettiva inesplorata.
Laura Giulian, alla sua seconda opera, si domanda non solo come possano essere vissute queste sensazioni sconvolgenti, ma anche come raccontarle, scegliendo di mantenere un piacevole tono antitetico di profonda leggerezza che coinvolge il lettore sollevando svariati interrogativi. Lo fa partendo dai titoli scelti per ciascun capitolo, le cosiddette “parole intraducibili”, ossia espressioni prese in prestito da altre culture che riferiscono situazioni, concetti o suggestioni talmente specifiche da non risultare trasponibili nella nostra lingua.
Queste simboleggiano perfettamente l’impulso binario alla guida di tutto il racconto: da una parte il disorientamento che si prova appunto di fronte a un idioma straniero che lascia interdetti (quanto una diagnosi inaspettata), dall’altra l’apertura necessaria verso qualcosa di altro che permetterà di comprendere attraverso strumenti inediti ciò che sta accadendo e si sta provando, ciò che si vuole dire per davvero, utilizzando parole nuove.
L’autrice, infine, aggiorna le possibilità dell’ipertesto affidando parole e suggestioni alle note musicali: alla fine di ogni capitolo, lascia spazio a citazioni tratte da alcuni dei brani da lei preferiti, strizzando l’occhio agli amanti del pop della sua generazione ma non solo, e attraverso dei QR code permette al lettore di ascoltare quello che suona nella sua mente mentre ci racconta di Anna e del suo viaggio. Raccontando molto di se stessa attraverso i propri personaggi, i numerosissimi spunti di riflessione, i modi di dire e il riferimento a episodi e date di valore della sua vita privata, Laura Giulian regala un prezioso ultimo brano che riempie definitivamente di vita le pagine del libro.
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