Due uomini di fede, due fondatori, due rinnovatori della Chiesa: Annalisa Teggi, “Liberi e lieti. Fede e fraternità in san Francesco e don Giussani”
Cos’hanno in comune san Francesco e don Giussani? Forse molto, forse poco, ma la scommessa, perché di questo si tratta, che Annalisa Teggi ha deciso di ingaggiare nel suo ultimo libro, Liberi e lieti. Fede e fraternità in san Francesco e don Giussani (Edizioni Francescane Italiane, 2024), meritava di essere raccolta. Così come merita di essere letto il testo che ne è scaturito, che tratteggia per grandi linee, ma con grande precisone, alcuni aspetti dei due poliedrici personaggi.
L’autrice non si sottrae alla domanda iniziale e scrive: “Il Cristianesimo possiede questa radice di somiglianza radicale per cui più le anime fissano Gesù Cristo più si assomigliano, persino nonostante le diversità clamorose d’indole e temperamento, persino nonostante l’aver vissuto in epoche e terre lontanissime. Vale anche per don Luigi Giussani e san Francesco d’Assisi. Se nella distanza che li caratterizza si colgono segni di gemellaggio, è perché il loro volto più intimo rimane fisso in Cristo, vivendone una relazione tale da mostrarsi e noi come voci sorelle, volti fratelli” (p. 22).
Questa è la cifra di tutto il libro cui l’autrice rimane fedele, grazie alla sua profonda conoscenza dei due personaggi e agli studi specifici che ha fatto. La bibliografia e le sue precise e appropriate citazioni ne fanno testo.
Il libro affronta dieci temi tra i più significativi dell’esperienza religiosa che i due personaggi hanno affrontato nella loro vita e cioè l’obbedienza, la carità, la verginità, la povertà, la santità, la fraternità, senza mai indulgere in descrizioni sentimentalistiche o sociologiche, ma sempre mantenendosi fedele all’impegno assunto all’inizio, quel volto intimo “fisso in Cristo” che accomuna i due.
Altro elemento caratterizzante è lo stile letterario dell’autrice, lineare e “moderno”, ricco di paragoni e riferimenti al contesto odierno, come quando utilizzando una metafora calcistica definisce Francesco “un grande centrocampista, che ha visto e amato il Centro in ogni campo della vita” e santa Teresa di Lisieux “una fuoriclasse dei panchinari”, perché “Era certa che bastasse uno spillo raccolto per terra con amore per salvare un’anima”.
E sempre nel capitolo dedicato alla Chiesa, dice di Angelina Gerosa – madre di don Giussani – che “presidiò il suo centrocampo come una vera sentinella, guardando il cielo. E fu più spalancata al mondo di certi businessmen che saltano da un aereo all’altro e stanno ingabbiati negli schemi dei loro appuntamenti schedulati”.
Il capitolo dedicato alla Chiesa risulta il più avvincente perché l’autrice mette in stretta correlazione l’impegno instancabile di Francesco per il rinnovamento della Chiesa del suo tempo con quello di Giussani di servizio e amore alla Chiesa in cui visse. Utilizza a tal fine il testo dell’udienza generale di papa Benedetto XVI il 27 gennaio 2020, dedicata alla vicenda di san Francesco, nella quale Dio gli chiede di edificare la Sua Chiesa, mentre si trova nella chiesa diroccata di san Damiano. “Immediatamente – dice il Papa – san Francesco è chiamato a riparare questa chiesetta, ma lo stato rovinoso di questo edificio è simbolo della situazione drammatica e inquietante della Chiesa stessa in quel tempo. (…) Tuttavia, in questa Chiesa in rovina sta nel centro il Crocifisso e parla: chiama al rinnovamento, chiama Francesco ad un lavoro manuale per riparare concretamente la chiesetta di san Damiano, simbolo della chiamata più profonda a rinnovare la Chiesa stessa di Cristo, con la sua radicalità di fede e con il suo entusiasmo di amore per Cristo”. “Ci manca questa miopia santa di san Francesco – commenta l’autrice –, abbiamo una vista abbagliata dall’astrattezza. Siamo impantanati in un tempo ideologico che insinua sia più facile riparare la mia Chiesa come vai e salva il mondo, piuttosto che come una faccenda da muratori di quartiere”.
Nelle pagine seguenti la Teggi affronta l’impegno dell’edificazione di “Molte opere sociali, culturali, missionarie, educative, assistenziali (che) siano nate dallo spirito francescano, senza che mai il Santo abbia reclamato per sé il ruolo di capo cantiere con lo scettro di plenipotenziario in mano”. E poi nel parallelismo con don Giussani scrive: “Allo stesso modo, quando dentro o a fianco di Comunione e Liberazione sono sorte esperienze edificanti (…) Giussani le ha vissute come occasioni per approfondire la coscienza di ciò che accadeva, per chiedersi quali responsabilità e testimonianze fossero in gioco”. Seguono brevi descrizioni della nascita e dello sviluppo di queste opere, e conclude: “Non c’è da stupirsi che Giussani si confronti sul tema della costruzione non solo con gli aderenti al movimento di Cl, ma con membri di altre comunità cristiane. È un dialogo che estirpa la tentazione di creare una propria chiesa dentro la Chiesa. Tutti quelli che sono di Cristo, in stanze limitrofe e comunicanti, edificano e restaurano la stessa casa”. (pag. 78).
In conclusione, parliamo del capitolo forse più decisivo: “Il popolo canta”. La Teggi parte da san Francesco e dal suo Cantico delle Creature, e per affermare l’importanza e il valore del canto cita Ildegarda di Bingen che immaginava Adamo che “prima della trasgressione … aveva in comune con gli angeli la voce per cantare le lodi. (…) Perse questa affinità con le voci angeliche che aveva nel Paradiso quando si fece ingannare dal diavolo, opponendosi per consiglio di questi alla volontà del suo creatore”. Così commenta la Teggi: “Il canto è la forma espressiva originale dell’uomo, la prosa è frutto della Caduta del Giardino dell’Eden. Ci piace cantare, ci far star bene, perché è più naturale. Corrisponde alla natura autentica del nostro essere, se fossimo in uno stato non corrotto del peccato” (pag. 141).
Con questo endorsement risulta agevole parlare dell’importanza del canto per Giussani, che ne fece un elemento portante della esperienza di CL fin dagli inizi. Non a caso afferma che per lui “il canto era l’inizio di tutto”.
Nell’ultima pagina l’autrice compie una connessione audace e calzante. Lega quelle precedenti, in cui si spiega come questi due grandi protagonisti della storia della Chiesa abbiano dato vita ciascuno ad un popolo, quello francescano e quello ciellino, all’esperienza del canto in CL citando una canzone del cantautore Claudio Chieffo, Il popolo canta la sua liberazione. Conclude così: “Il Cristiano è un cantastorie, un giullare come san Francesco, che sta in mezzo al popolo e si mette a cantare il racconto del mondo. La memoria evocata dal canto è che il cammin di nostra vita sa dove andare, ha un destino, qualunque sia l’opera in cui siamo indaffarati. Possiamo avere un umore poco incline a fischiettare, ma non è più una questione emotiva”.
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