Per sua tradizione, il Vaticano combina la diplomazia internazionale con la spiritualità e l’autorevolezza. E potrebbe formulare una proposta per l’Europa
Un anziano frate cappuccino, che ha operato per una ventina d’anni in un campo nomadi e attualmente risiede in un convento di provincia dell’Italia centro-settentrionale, invia da qualche tempo agli amici, a cadenze irregolari, riflessioni spirituali brevi ed epigrammatiche. La riflessione più recente parla di Qualcuno che desidera “spingerci a ‘credere sulla parola’, la parola dell’altro; iniziando la catena, o meglio il passa mano, il passa voce, il passa parola dei testimoni: dai discepoli agli evangelisti, ai martiri, e così via fino a noi.
Questo ‘passa parola’ fa venire in mente il gioco in cerchio dei bambini, dove il primo passa una parola nell’orecchio del secondo e questi del terzo e così via fino a tornare al primo per scoprire che del messaggio iniziale è rimasta un’eco spesso ridicola. Detto con altre parole, parole ‘ortodosse’: questo gioco è la Tradizione […] A ogni principio, prima di ogni principio, c’è la pausa: la sospensione del vuoto, nel vuoto – vuoto che, alla caduta, dà la possibilità del volo”.
Descrizioni come questa (provenienti da uno di quegli “umili” di cui si parla sempre senza lasciarli quasi mai parlare) portano un po’ d’aria fresca nei discorsi burocratici e nei clichés edificanti che si affollano intorno all’evento in preparazione al Vaticano, dove per esempio il richiamo continuo allo Spirito Santo è diventato un po’ stucchevole, per nobilitare la cucina politica delle trattative in corso.
È bene allora rivendicare la complessità del “gioco” della tradizione, che, per essere adeguatamente valutato, richiede anche una certa agilità di approccio. Certo, tradizione non è uguale a tradimento, come invece suona la battuta del geniale Filippo Tommaso Marinetti (il quale rivela peraltro uno spirito cristiano nei suoi ultimi scritti). Ma quando si è di fronte a questo “volo” che può vincere il “vuoto”, non si può non interrogarsi in piena libertà sulle vertiginose ambiguità delle tradizioni, e della Tradizione.
Oggi l’asse della politica internazionale è pericolosamente oscillante, e lo sarà finché la Sede Vacante non verrà occupata. Il Vaticano è un luogo unico al mondo per il suo grande paradosso, che combina l’alta spiritualità con la diplomazia internazionale (creatura, quest’ultima, essenzialmente laica). Questo paradosso vivente è, piaccia o no, uno degli elementi della eccezionalità italiana. È passato, in effetti, il tempo in cui tanti pensatori italiani (Machiavelli ecc.) insistevano sulla coesistenza con la Chiesa come uno degli elementi bloccanti nella storia italiana.
Adesso invece, a poco meno di due secoli dalla conclusione della nobile storia del Risorgimento, si può ben dire che il corpo di Roma caput mundi è un organismo unico al mondo perché batte con due cuori: e questa non è enfasi barocca, ma realismo descrittivo. L’eccezionalità italiana peraltro è un fenomeno spirituale; come tale, è impossibile confonderlo con l’“eccezionalismo” Usa, che comunque suona ormai come una sempre più vuota parola.
Ma allora, questa eccezionale coesistenza richiederebbe di essere interpellata con una particolare forza di invenzione e di dialogo: un dialogo fra interlocutori laici e religiosi. Come accadeva all’inizio del secolo scorso nel mondo narrativo del gran romanzo di Antonio Fogazzaro Il Santo, del 1905 (lo stesso anno in cui in Francia si decretava per legge la separazione fra Chiesa e Stato): romanzo che osa immaginare il dialogo a tu per tu, di notte, in Vaticano, fra un laico appena diventato frate e il Papa in persona (Pio X, papa Sarto, poi santificato).
In quel dialogo, Benedetto offre certe sue proposte per alcuni cambiamenti nella vita della Chiesa. Come quasi sempre accade il romanzo fu prontamente colpito e abbattuto da “destra” (Il Santo è subito posto all’Indice, nel 1906) e da “sinistra”: vedi per esempio le fiere critiche moralistiche a Fogazzaro da parte di Benedetto Croce, detto (laicamente, s’intende) don Benedetto.
Ma non c’è alcuna intenzione qui di vagheggiare futuri dialoghi vaticaneschi e romanzeschi con il nuovo papa. Si tratta semplicemente di un’immagine (all’insegna del binomio arte-vita esplorato dal già citato Marinetti), a cui si ricorre per evocare un’altra immagine; e questa immagine, è perfettamente possibile tradurla in una proposta concreta.
Pensiamo un “gioco in cerchio” in cui un gruppo di adulti comunichi sottovoce, all’orecchio l’uno dell’altro, una proposta per il futuro dell’Unione Europea; e immaginiamo che il risultato finale di questo passaparola sia la frase: statuto di neutralità internazionale per tutta l’Unione Europea!
A chi obiettasse ridendo che questa sarebbe una sgangherata utopia, si potrebbe plausibilmente ribattere che nessuna creatura politica sul continente europeo è attualmente più sgangherata dell’Unione. Perché dunque non potrebbe, questa proposta “idealistica”, trovare la sua via d’espressione presso il più potente centro spirituale e diplomatico al mondo?
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