Morte Liliana Resinovich, guerra perizie tra i consulenti di parte. Fineschi contro il medico legale di Visintin: "Tesi suicidio senza basi scientifiche"

La perizia dell’anatomopatologa Cristina Cattaneo è al centro di una “guerra” tra i consulenti di parte che si stanno occupando della morte di Liliana Resinovich. Da un lato c’è il medico legale Raffaele Barisani, consulente di Sebastiano Visintin, marito della 63enne trovata morta a Trieste dopo la sua scomparsa e unico indagato al momento, dall’altro il professor Vittorio Fineschi, nominato invece dal fratello di Lilly.



Secondo il primo non si può escludere l’ipotesi del suicidio, che peraltro aveva portato a una prima archiviazione del caso, aggiungendo che neppure la super perizia la esclude, sebbene abbia dato più peso alla tesi dell’intervento di terzi. Secondo Barisani, non sarebbe morta soffocata per un braccio messo attorno al collo, in quanto avrebbe riportato delle petecchie congiuntivali, che non sono state rilevate nella parte bianca dei suoi occhi. Inoltre, avrebbe riportato segni sul collo che non sono stati rinvenuti.



La frattura della vertebra rilevata dalla perizia di Cattaneo non sarebbe attribuibile all’omicidio per soffocamento, bensì alla manipolazione del cadavere. Dunque, Barisani ritiene più probabile che la moglie del suo assistito sia morta suicidandosi con due sacchetti di plastica, spiegando che non avrebbe avuto l’istinto di toglierseli, perché con quella manovra si perdono i sensi.

LILIANA RESINOVICH, LO SCONTRO TRA I CONSULENTI

Ma la super perizia esclude questa tesi, in quanto è una modalità che si accompagna all’assunzione di farmaci o alcol, sostanze non rilevate tramite gli esami tossicologici a cui è stata sottoposta la salma di Liliana Resinovich. Barisani contesta anche il luogo del ritrovamento e la durata della permanenza del corpo nel bosco: non ritiene possibile che sia stata lì per 20 giorni, visto che i tessuti sono stati trovati a un buon stato di conservazione.



Quest’ultimo è l’unico aspetto con cui c’è convergenza con le tesi del professor Fineschi, secondo cui non ci sono costrutti scientifici riguardo l’ipotesi della frattura post mortem della vertebra del collo. Il consulente del fratello di Liliana Resinovich l’ha definita una “ciambella di salvataggio a cui la difesa si sta aggrappando“. In realtà, per Fineschi è più probabile la tesi indicata dalla super perizia e che i sacchetti di plastica abbiano solo messo fine al respiro della donna, compromesso principalmente dall’asfissia esterna.

Ma il consulente di Sergio Resinovich contesta anche la questione della mancanza di petecchie negli occhi e di segni sul collo, segnalando che quei segni non emergono in tutti i casi di asfissia, perché incidono vari fattori, come modalità e durata del meccanismo con cui sarebbe stata uccisa Liliana Resinovich.