Tutti indicano nelle liste d'attesa il problema principale della sanità. Ma al di là delle singole proposte serve una rimodulazione del SSN
Non dico tutti i giorni, ma quasi, qualcuno ci ricorda, con modi e toni del tutto diversi ma con lo stesso intendimento e messaggio, che i lunghi (o lunghissimi) tempi di attesa per ricevere prestazioni sanitarie sia di ricovero che ambulatoriali sono il principale problema del servizio sanitario italiano.
A leggere sia la stampa generalista che quella di settore (ma è così per tutti i media e non solo per la carta stampata) sono tantissimi i problemi che affliggono il nostro SSN e farne una classifica certamente serve a poco ma è indubbio che quello dei tempi di attesa è un problema che sta di sicuro in alto nelle preoccupazioni dei cittadini ed è quindi ragionevole che siano in corso diverse attività che cercano di metterci mano.
Ne parla continuamente il ministro Schillaci per segnalare che il governo ci sta lavorando, e ricorda i due provvedimenti più recenti che sono stati approvati: la realizzazione con AGENAS di un portale per monitorare le liste di attesa dove tutte le regioni esporranno i loro dati, da una parte, e l’accordo ottenuto con le regioni su un dpcm che regolerà le modalità con cui il ministero potrà esercitare i poteri sostitutivi nei confronti delle regioni che risulteranno inadempienti nell’applicazione delle norme che si riferiscono alle attività di contrasto ai tempi di attesa.
Al ministro, e con valutazioni del tutto opposte, risponde la Fondazione GIMBE attraverso il suo presidente (Cartabellotta) lamentando che il decreto-legge sulle liste di attesa approvato da un anno non sta producendo significativi benefici per i cittadini.
Al di là dei ritardi causati dalla predisposizione della piattaforma informatica e dai contrasti tra Governo e Regioni sui poteri sostitutivi, adesso risolti, l’insuccesso del decreto-legge risiederebbe nel numero elevato di decreti attuativi cui esso rimanda, decreti in buona parte non ancora approvati.
Interventi sono poi stati effettuati in vari contesti più o meno istituzionali da diverse associazioni di professionisti. Auditi in Commissione Affari Sociali della Camera dei deputati, ad esempio, i responsabili di SUMAI Assoprof hanno proposto due emendamenti per il recupero delle liste di attesa: l’obbligo (e non solo la possibilità) di avvalersi degli specialisti ambulatoriali già in servizio internamente alle aziende, e l’incremento fino a 100 euro lordi della tariffa oraria per gli specialisti.
Un altro esempio lo offre la FNOMCEO, sempre in audizione alla Camera per voce del suo presidente (Anelli), che ha posto l’accento sull’abbreviazione e semplificazione dei piani terapeutici (per risparmiare visite ed esami strumentali), sullo snellimento della burocrazia, sul potenziamento della telemedicina, ma soprattutto sulla valorizzazione del personale sanitario attraverso un piano di assunzioni e di incentivi mirato a rendere attrattivo il SSN. Significativo anche il riferimento al cosiddetto “scudo penale” così da proteggere i professionisti di fronte a denunce ingiuste ed a cause infondate.
Molto variegato e diversificato è poi l’intervento delle singole regioni, difficile da riassumere e sintetizzare in poche battute anche perché caratterizzato talvolta da livelli elevati di originalità delle proposte, per le quali non è sempre facile comprendere a priori l’efficacia che avranno nel contrastare la lunghezza delle liste di attesa: si veda, ad esempio, il coinvolgimento dei NAS dei carabinieri sui tempi di attesa previsto dalle delibere di Regione Lombardia.
Tra le attività delle regioni è da segnalare anche il recente caso della Sardegna, che nell’approvare le sue nuove linee guida per il CUP chiama in causa anche le responsabilità dei cittadini perché secondo la presidente Todde sarebbero circa 100mila i sardi che avendo prenotato una visita non si sarebbero poi presentati per effettuarla.
Qualcuno, infine, addirittura sostiene che nella sua regione il problema è del tutto (o quasi) risolto (vedi il presidente Zaia nel Veneto), ma non si conoscono né i metodi né gli strumenti che avrebbero permesso di raggiungere questo importante risultato (ammesso che sia stato effettivamente raggiunto).
Presi ad uno ad uno, tutti questi interventi (o proposte) non sono singolarmente sbagliati e certamente producono qualche beneficio e qualche risultato, ma sono tutti interventi parziali e non risolutivi e fanno immediatamente sorgere una domanda: si tratta di un noioso e lento palleggio a centrocampo (come quello della nostra nazionale di calcio) che non produce esiti apprezzabili, o si stanno facendo (o proponendo) le cose che servono per risolvere (o almeno attenuare) il problema?
Si cambia anche qualche giocatore (o addirittura l’allenatore), ma è chiaro che non serve un genio alla Einstein per capire che per arrivare alla soluzione occorre prima passare da una analisi globale del problema. Perché la lunghezza dei tempi di attesa non è frutto di fenomeni contingenti o di responsabilità di questo governo o di quello che lo ha preceduto, ma è conseguenza di un insieme ampio e diversificato di tante questioni, alcune anche in contrasto tra di loro, che si sono accumulate nel tempo:
l’elevata domanda di prestazioni, non sempre appropriate e necessarie, spesso sollecitate da un atteggiamento prescrittivo riconducibile ad esigenze di medicina difensiva;
l’invecchiamento della popolazione, con lunghi anni di vita non in buona salute che portano all’aumento delle esigenze assistenziali;
l’inadeguatezza della rete di assistenza, ed in particolare della medicina del territorio e della sua insufficiente capacità di affrontare le esigenze dei pazienti con patologie croniche;
le difficoltà della rete di offerta per mancanza di risorse (personale, strumenti, spazi, …) o per inadeguata organizzazione (orari e giorni di apertura);
l’empowerment del cittadino e gli stimoli che arrivano da internet;
l’assenza (o scarso utilizzo) delle nuove tecnologie (telemedicina, teleassistenza, …);
la cattiva abitudine di prenotarsi contemporaneamente presso diverse strutture senza poi segnalare l’eventuale rinuncia alla prestazione; e via di questo passo, per un elenco di ragioni di cui è difficile vedere la fine.
L’ampiezza delle questioni da affrontare garantisce che con la lunghezza dei tempi di attesa dovremo convivere a lungo, perché la sua soluzione può venire solo da un ripensamento complessivo del SSN, un’opera di riforma alla quale ogni tanto qualcuno fa cenno ma di cui però, al momento, si fa fatica ad individuare qualche traccia concreta.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.