Se la Lombardia è malata, il Paese rischia di morire. Questo non derubrica eventuali responsabilità di malagestione, ma impone una riflessione basata sui fatti. Ne parla GIANNI CREDIT

Il Corriere della Sera ha aperto in tutta fretta un dibattito martellante sulla crisi irreversibile di un «modello Lombardia» nel quale «il cattoleghismo marcisce». A leggere l’incipit dell’articolo di ieri, suona un po’ «partigianeria del 25 aprile», di quelle che nascono e muoiono attorno a Piazzale Loreto. Ma non importa: è un confronto necessario, ineludibile, deve anzi continuare e crescere: quanto più possibile sui fatti.



Su Ilsussidiario.net è del resto iniziato per tempo: all’indomani della sconfitta di Letizia Moratti al Comune di Milano. E la discussione aperta – all’interno della “community” de Ilsussidiario.net – si è fatta più intensa all’inizio dell’estate, attorno a Il coraggio di ricominciare, scritto da Giorgio Vittadini. Il presidente della Fondazione per la Sussidiarietà ha posto sotto esame critico lo sviluppo e l’esito del proprio impegno politico-culturale: l’affermazione della sussidiarietà – in Lombardia e in Italia – come dinamica evolutiva della politica e come meccanismo concreto di riallocazione delle risorse pubbliche e private fra mercato e società civile.



Il Corriere della Sera fa certamente il suo mestiere di grande quotidiano d’informazione e opinione quando osserva e denuncia alcuni esiti del ventennio caratterizzato dalla leadership nazionale di Silvio Berlusconi e da quella di Roberto Formigoni in regione, ambedue appoggiati in modo decisivo dalla Lega di Umberto Bossi. Tuttavia – esattamente come il 25 aprile del 1945 – difficilmente il Corriere può ignorare – o far dimenticare – che di entrambi i «ventenni» il Corriere medesimo è stato parte integrante, forse anche di più. Il più celebre, se non il più grande, dei numi tutelari del Corriere – Indro Montanelli – nasce come inviato coloniale nel Corno d’Africa, dove negli stessi anni il giovane Enrico Cuccia mette ordine nelle valute del regime d’occupazione.



E a proposito di «atti fondativi» della Seconda Repubblica forse non è secondario rammentare «la guerra di Segrate», al termine della quale la Mondadori viene strappata da Fininvest al gruppo De Benedetti: non fu forse il Corriere – già abilmente pilotato dall’amministratore delegato della Fiat Cesare Romiti – ad appoggiare in modo decisivo – nell’opinione pubblica e nell’establishment di allora – l’ascesa definitiva del Cavaliere fra media, finanza e politica?

A proposito di editoria tradizionale: giusto domani Rcs ha in programma un’assemblea che dovrà certificare l’abbattimento di legge del capitale per le forti perdite (oltre 400 milioni) registrate alla fine del primo semestre. Ma difficilmente i soci e il nuovo management domani potranno presentare un piano di rilancio e mettere sul tavolo i capitali freschi necessari. Continua invece la guerriglia nel patto di sindacato. Forse non è anche questo un esito (fattuale) del «ventennio»? Forse quest’area del «modello Lombardia» è più sana e autorevole?

Forse l’amministratore delegato di Mediobanca non è indagato presso la Procura di Milano per presunti illeciti nella gestione della crisi del gruppo Ligresti? Forse il «modello Mediobanca» ha garantito alle Generali e a Telecom strategie vincenti oppure le ha impoverite? Forse che il professor Umberto Veronesi e l’Istituto europeo di oncologia hanno potuto svilupparsi in un’enclave estranea al «modello Lombardia»? 

Il dibattito, quindi, “must go on”: serio, senza sconti. E sui fatti: tutti. Perché se la Lombardia continua ad avere il raffreddore, il Paese continua a rischiare di morire di polmonite.

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