Nella giornata di ieri sono stati diffusi dati macroeconomici piuttosto interessanti. Eurostat ha fatto sapere che a novembre la produzione industriale di Ue ed Eurozona, come accaduto in Italia, è cresciuta a livello congiunturale (+0,1% e +0,2% rispettivamente), ma è scesa ancora in termini tendenziali (-1,7% e -1,9%). Destatis ha invece comunicato la stima flash sul Pil 2024 della Germania, pari al -0,2% dopo il -0,3% del 2023. Si avrebbero così due anni consecutivi di recessione dell’economia tedesca che non si vedevano dal 2002-2003. Infine, la Banca d’Italia ha fatto sapere che a novembre il debito pubblico ha superato la soglia dei 3.000 miliardi di euro. Abbiamo chiesto un commento a Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano.
Quale di questi tre dati ritiene il più importante?
Quello relativo al Pil della Germania, perché condiziona tutto lo scenario europeo. Il dato conferma la pesantezza della crisi strutturale tedesca, che ha tra le sue cause l’aumento dei costi energetici, la crisi dell’auto con il crollo delle vendite in Cina e anche il fatto che la gabbia fiscale di Berlino irretisce qualsiasi tipo di intervento di politica economica utile a invertire la rotta. Questa situazione influisce pesantemente anche sui Paesi satellite della Germania e sugli scambi intracomunitari, che risentono altresì del rallentamento dell’economia della Francia, dove non mancano crisi aziendali aperte. Lo stesso Primo ministro Francois Bayrou ha tagliato le stime di crescita per quest’anno.
Questo quadro spiega l’andamento della produzione industriale europea?
Esattamente. Non è uno scenario drammatico come quello dei primi mesi dopo la pandemia o i primi momenti seguiti allo scoppio della guerra in Ucraina, ma è comunque complicato perché non si capisce come poter invertire rotta: le elezioni in Germania si terranno tra più di un mese e non è chiaro se il risultato potrà garantire governabilità o se porterà il Paese in una situazione complessa come quella francese. Il rischio, quindi, è quello di una paralisi che impedisce una svolta.
Il Governo italiano può far qualcosa per sostenere l’industria?
L’Italia sul fronte dell’export e della produzione industriale subisce i contraccolpi della crisi dei due pilastri dell’Eurozona, Germania e Francia, e dei Paesi a essi collegati, ma può contare su una resilienza maturata a seguito delle riforme realizzate nel decennio scorso e della reazione post-Covid. Il Governo in questo momento può far poco, anche perché ha preso degli impegni importanti con l’Ue sul risanamento della finanza pubblica. Ora tutti parleranno del fatto che per la prima volta il debito pubblico ha superato la soglia dei 3.000 miliardi di euro, ma Francia e Gran Bretagna l’hanno superata da un pezzo.
Cos’ha pesato sulla finanza pubblica italiana?
In particolare il Superbonus 110%, un provvedimento che, per quanto fatto male, soprattutto per la mancanza di soglie limite, ha comunque consentito di far crescere il Pil e, quindi, di non far esplodere il rapporto debito/Pil. Vedremo poi quale sarà il dato di fine anno. In ogni caso non sembra che i mercati e gli investitori internazionali siano spaventati visto che, come mostra sempre la Banca d’Italia, a ottobre è ulteriormente aumentata la quota di titoli di stato in mani straniere, che resta comunque inferiore a quella detenuta da soggetti italiani.
Tra l’altro le prime aste del Tesoro del 2025 sono andate molto bene, con una domanda record da 275 miliardi di euro…
In questo momento i mercati stanno ragionando in modo più serio rispetto alle agenzie di rating, che continuano a mantenere giudizi sul nostro Paese che reputo vergognosi se pensiamo che ci sono fino a 6 notch di differenza tra Italia e Francia. Gli investitori stanno infatti scaricando i titoli di stato francesi e richiedendo quelli italiani, soprattutto per l’impegno credibile preso dal Governo con il Piano strutturale di bilancio riguardo la continua realizzazione di un avanzo primario. Impegno che, tuttavia, comporta una minor possibilità di sostenere l’industria. È stato in questo senso trovata una forma di compromesso con l’Ires premiale introdotta nella Legge di bilancio, una misura che ha un’efficacia chiaramente inferiore al Piano Industria 4.0.
È, tuttavia, in vigore il Piano Transizione 5.0…
Sperando che si possa finalmente sbloccare, Transizione 5.0 presenta comunque dei vincoli che rendono i suoi effetti non paragonabili a quelli di Industria 4.0. In questo momento siamo, quindi, più che altro in attesa di capire cosa deciderà di fare l’Ue per affrontare un problema che riguarda il sistema industriale di tutti i Paesi membri. Speriamo che non attenda troppo almeno per farci sapere come intende modificare il Green Deal in modo che non affossi ulteriormente l’industria e che voglia adottare strumenti comuni per non lasciare da sole le imprese ad affrontare la transizione energetica.
Prima di prendere decisioni così importanti, Bruxelles dovrà quanto meno aspettare l’esito delle elezioni tedesche.
Il nodo è effettivamente la Germania. C’è da sperare che possa avere un Governo stabile e che metta in discussione il freno al debito, anche perché non ha molto senso avere un debito/Pil tra il 60% e il 65% quando l’economia è al tappeto, come mostra il fatto che chiuderà per il secondo anno consecutivo in recessione.
(Lorenzo Torrisi)
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