I mercati finanziari continuano a dare un giudizio positivo sull’Italia che si rispecchia sul rendimento dei titoli di stato. L’anno si apre nel migliore dei modi. L’8 gennaio, mercoledì scorso, il Tesoro ha messo sul mercato nuovi Btp a dieci anni e un Btp Green a 20 anni. Per il primo l’importo è stato pari a 13 miliardi di euro a fronte di una domanda di oltre 140 miliardi di euro. Il titolo è stato collocato al prezzo di 99,577 corrispondente a un rendimento lordo annuo all’emissione del 3,733%. Il Btp Green a 20 anni e tasso annuo del 4,10%, a fronte di 5 miliardi di euro ha registrato una domanda di circa 130 miliardi di euro. Oggi è in programma la prima asta dell’anno di titoli a medio-lungo termine.
Negli stessi giorni a Londra il rendimento dei titoli di stato decennali è balzato dal 3,6% al 4,8%; quelli a più lungo termine, trentennali, sono arrivati a sfiorare il 5,4%. Noi siamo abituati a calcolare lo spread tra decennali italiani e tedeschi; venerdì ha chiuso a 120 punti base, cioè, l’1,2%, un po’ peggio rispetto alla media di dicembre, ma comunque una differenza che mette in tranquillità il debito pubblico italiano. Se volessimo considerare lo spread con Londra, non potremmo che rallegrarci. I guai britannici vengono attributi alle manovre di Elon Musk il quale vuol far cadere il laburista Keir Starmer. È solo parte della verità. L’altra parte è che i conti pubblici sono un pasticcio e il Governo britannico non sta facendo nulla di consistente per rimediare.
La congiuntura economica nel suo complesso zoppica. Il prodotto lordo chiude il 2024 con una crescita inferiore all’un per cento ed è in discesa; l’inflazione sfiora il 3%, il disavanzo pubblico è al 4%. È vero, il debito in rapporto al Pil è al 108%, meno dell’Italia, naturalmente, e degli stessi Stati Uniti (122% lo corso anno e 131% previsto per il 2026), ma la sterlina si è indebolita sia rispetto all’euro, sia sul dollaro. Dunque, i mercati valutano l’insieme delle performance economiche prima di decidere se comprare o vendere. Sull’Italia apprezzano una politica di bilancio prudente, un giudizio espresso anche dalla Bce. La luna di miele durerà anche nei prossimi mesi? Dipende da alcuni fattori.
Al netto dell’instabilità che può venire dall’esterno (si pensi alle nuove tensioni sui prezzi energetici, tanto per fare un esempio), la prima condizione è che il Governo tenga la barra dritta, la seconda è che l’Italia cresca dell’un per cento in termini reali, cioè al netto dell’inflazione. Nel 2024 non c’è riuscita, quest’anno dovrebbe fare del tutto perché l’economia reale metta il piede sull’acceleratore.
Le buone notizie su Btp e spread non bastano. Il debito è ormai a tremila miliardi. IlGgoverno deve rinnovare di qui alla fine dell’anno 369 miliardi di euro. Fino al termine della legislatura, secondo le stime di Unimpresa Btp, Bot e Cct in scadenza valgono nell’insieme 839 miliardi di euro. A essi vanno aggiunti i titoli nuovi che servono a finanziare le spese annue che non sono coperte da pari entrate. Dunque teniamoci buoni i mercati, con uno stock di debito tra i più alti in assoluto, non possiamo permetterci scossoni. La cautela non basta, occorre ridurre il debito sul Pil contenendo la spesa, ma soprattutto aumentando la crescita. La lezione degli anni post-pandemia è l’ultima dimostrazione che il debito può diminuire senza “macelleria sociale”, come si dice, se si spinge sullo sviluppo dell’economia. E il primo motore per un Paese come l’Italia che vive di esportazioni è l’industria manifatturiera. Proprio da qui, invece, arrivano le cattive notizie.
Ottobre 2024 è stato il ventunesimo mese in discesa per l’indice Istat della produzione industriale. E il Pil nel terzo trimestre dell’anno è andato peggio della media europea. La Confindustria da tempo sottolinea che il prodotto lordo si muove troppo lentamente e le prospettive non sono buone. Non c’è da stracciarsi le vesti, né suonare campanelli d’allarme, ma da ragionare in modo concreto, abbandonando atteggiamenti sportivo-militareschi. Gli imprenditori nel loro insieme mettono l’accento su due questioni determinanti: la prima è la competitività, la seconda è la ricaduta della grande trasformazione industriale (basti pensare alla caduta di due settori chiave in Italia come l’auto e l’abbigliamento).
Non ci sono bacchette magiche, però il Governo deve mettere in cima alla politica economica la competitività e la ristrutturazione dell’industria manifatturiera. Un passaggio fondamentale è chiamare il mondo del lavoro attorno a un tavolo non solo per ascoltare il malessere sempre più acuto che arriva dalle imprese, ma per raccogliere idee e proposte da trasformare al più presto in politiche efficaci.
Se si guarda allo stesso bilancio dello Stato, si vede che gli investimenti pubblici sono in discesa, ma si stanno riducendo anche gli investimenti privati. Il Governo ha scelto di sostenere i consumi il che certamente nel breve periodo ha maggiore appeal politico, tuttavia sono gli investimenti a muovere l’industria italiana. Non si tratta di aumentare qua e là incentivi, bonus, benefici, ma piuttosto di intervenire sui fattori produttivi, dal lavoro (contratti, salari, produttività) al capitale (trasformare in investimenti produttivi il consistente risparmio degli italiani). È questa la chiave per non perdere una spinta che nell’insieme resta positiva
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