Rebeca Grynspan, segretaria generale della Conferenza ONU sul commercio e lo sviluppo, ha espresso nei giorni scorsi la sua opinione sulla politica green, puntando il dito contro i paesi ricchi che starebbero usando gli accordi di Parigi e le norme che ne sono seguite per indebolire i paesi in via di sviluppo. Secondo quanto ha spiegato in un’intervista rilasciata al Financial Times, infatti, nel commercio vi sono “molte regole che vietano politiche che possono essere utilizzate dai paesi in via di sviluppo”, ed i paesi ricchi “hanno più spazio fiscale per sovvertire le aree” funzionali alla politica green, mentre anche la digitalizzazione rappresenta un ostacolo sempre più concreto alle loro vie di commercio.
Grynspan: “La politica green indebolisce i paesi poveri”
“Il commercio e gli investimenti“, ha spiegato Grynspan parlando della politica green, “sono stati i due pilastri che hanno permesso ai paesi in via di sviluppo di intraprendere davvero un percorso di crescita”, mentre ora a causa della digitalizzazione crescente e delle barriere green imposte dai paesi ricchi, quelli in via di sviluppo si trovano ad affrontare nuovi grandi problemi. Due sono i problemi in questo contesto, insomma, “il digitale” e “il ritorno della politica industriale che influenza la capacità dei paesi in via di sviluppo di competere”.
La politica green, infatti, si sta basando sempre di più nei paesi ricchi grazie a diverse forme di sussidi previste dagli stati per l’acquisto, per esempio, di auto elettriche o di sistemi green per produrre energia. Tuttavia, spiega Grynspan “i paesi in via di sviluppo non hanno lo spazio fiscale per intraprendere la strada dei sussidi, quindi devono intraprendere la strada delle restrizioni al commercio, o anche dei dazi e delle tasse“. Con la politica green definita a Parigi, insomma, conclude Grynspan, si è andato a creare un “sistema caotico” in cui i paesi più ricchi hanno più potere decisionale rispetto a quelli poveri, scaricando su di loro la responsabilità di limitare le emissioni di Co2.