Raniero Busco assolto ma segnato: il DNA sul corpo di Simonetta non bastò. Via Poma resta un mistero, il fidanzato vittima di un calvario giudiziario

“Non ho ucciso Simonetta”: un grido di dolore che ricerca giustizia, soffocato per ventidue lunghissimi anni, quello di Raniero Busco, il fidanzato di Simonetta Cesaroni, assolto nel 2012 da un’accusa che lo aveva trasformato da fidanzato amorevole a principale sospettato di uno dei delitti più brutali della cronaca nera italiana.



Per comprendere appieno l’assurdità di questa storia, bisogna ripercorrere l’intricato cammino delle indagini: nel 2005, il DNA di Busco e di altri 29 uomini venne prelevato e confrontato con le tracce biologiche ritrovate nei vestiti di Simonetta (tra cui il suo corpetto), un esame che, due anni dopo, avrebbe cambiato per sempre la vita di quell’uomo comune, marchiandolo come unico indagato per omicidio volontario.



La scienza, che sarebbe dovuta essere risolutrice e rivelatrice, in questo caso ha creato più ombre che certezze: quelle otto sequenze genetiche compatibili con il profilo di Renato Busco, trovate in una miscela di sangue sulla porta d’ingresso dell’ufficio di via Poma, furono per gli inquirenti una prova schiacciante, mentre per i difensori rappresentavano semplicemente la testimonianza di una relazione intima, riconducibile a qualsiasi momento del loro rapporto.

Come spesso succede nei casi di cronaca giudiziaria italiana, le prove scientifiche vengono interpretate in modo diametralmente opposto a seconda di chi le osserva: se il RIS di Parma consegnava agli inquirenti quello che sembrava una prova d’accusa inconfutabile contro Raniero Busco, nessuno si chiedeva come mai un assassino avrebbe lasciato deliberatamente il proprio DNA sulla scena del crimine, senza preoccuparsi di cancellare le tracce.



Il cadavere martoriato di Simonetta  Cesaroni rivelava un segno particolare sul seno, quello che il medico legale aveva inizialmente identificato come morso umano: proprio su quella lesione si sarebbe concentrato il destino giudiziario di Raniero Busco. Sulle mutande di Simonetta Cesaroni, in corrispondenza esatta di quel presunto morso, vennero infatti rinvenute tracce di DNA che coincidevano con il profilo genetico del fidanzato.

Raniero Busco e l’ombra del dubbio che non tramonta su via Poma: tra assoluzioni contestate e verità mai scritte

Dopo la condanna in primo grado a 24 anni per Raniero Busco – sentenza che aveva provocato l’acclamazione per la giustizia finalmente raggiunta – la Corte d’Assise d’Appello ribaltò completamente l’impianto accusatorio con un’assoluzione piena che suonò come una sberla alla procura: quel verdetto – in un primo momento apparentemente definitivo – aveva distrutto ogni certezza: non esisteva un movente plausibile, le tracce di DNA sul corpetto di Simonetta Cesaroni potevano risalire a qualsiasi periodo della loro relazione, e soprattutto, come dichiarato con estrema fermezza e lucidità da uno dei giudici: “Non si condanna sulla base di semplici congetture, per quanto suggestive”.

Ma anche quando pareva che questa dolorosa pagina fosse giunta alla sua conclusione, il procuratore generale Alfredo Cozzella presentò un ricorso che riaprì l’inferno: dopo una contestazione sugli accertamenti tecnici sul presunto morso di Raniero Busco e sul DNA, riuscì a far annullare l’assoluzione, trasformando quella che doveva essere la fine di un incubo nell’inizio di un nuovo calvario giudiziario.

La reazione del fidanzato di Simonetta Cesaroni, Raniero Busco, trovatosi a tu per tu con questo ennesimo colpo di scena, fu un misto di rassegnazione e amarezza: “La sentenza d’appello era ben motivata”, dichiarò ai giornalisti con gli occhi che trasudavano una stanchezza che solo chi ha vissuto trent’anni di gogna pubblica e mediatica per un’accusa così infamante può comprendere; poi, nel 2012, l’assoluzione definitiva che sancì la liberazione di quest’uomo da un incubo umano e giudiziario.

Oggi, mentre la giustizia continua a brancolare nel buio, Simonetta Cesaroni attende ancora che qualcuno scriva l’ultimo atto della sua storia. Ma forse, la verità è destinata a rimanere sepolta sotto montagne di ipotesi discordanti, mentre i protagonisti sopravvivono a metà, né condannati né davvero assolti.