Viene diffuso oggi il Rapporto Invalsi 2025. Diminuisce la dispersione esplicita, permangono i divari regionali, occorre investire di più sulle eccellenze

Il Rapporto nazionale 2025 dell’INVALSI contiene alcune novità. La prima, senz’altro positiva, è quella di una diminuzione cospicua della dispersione esplicita (dal 21% di alcuni anni fa al 9% circa del 2024), cioè quella dei ragazzi che abbandonano la scuola.

La seconda novità è quella del riscontro, all’interno del sistema scolastico, di alcuni nuovi fenomeni, come quello delle competenze digitali, su cui l’INVALSI, nel suo imponente lavoro (2.500.000 prove somministrate su carta e 5.100.000 computerizzate), ha iniziato a cimentarsi, compiendo le proprie indagini.



La diminuzione della dispersione esplicita, quella dell’abbandono scolastico, tuttavia, si è accompagnata a una certa diminuzione del rendimento scolastico, un abbassamento cioè della media dei risultati che rappresenta la cosiddetta “dispersione implicita”.

In altri termini, questi ultimi – ricavati sia nella scuola primaria (secondo e quinto anno), sia in quella secondaria (terza media) e sia infine in quella superiore (al termine del primo biennio e del quinto anno) –, ancorché indichino una certa inclinazione alla stabilità, registrano altresì qualche tendenza al peggioramento.



Il termine di rapporto è con l’adeguatezza ovvero l’inadeguatezza della preparazione degli alunni rispetto agli standard previsti. Ricci spiega che un qualche peggioramento delle medie dei risultati era prevedibile, proprio per l’aumento complessivo del numero degli alunni (determinato dal calo della dispersione esplicita).

L’utenza delle scuole, infatti, si è “complessificata”, trattenendo quegli alunni che fino a qualche tempo fa abbandonavano la carriera scolastica. Si è determinato così un aumento complessivo della popolazione, comprensivo anche di quella fascia, precedentemente destinata ad uscire dai circuiti scolastici, che ha nuociuto parzialmente al rendimento complessivo, soprattutto nell’ambito delle discipline sulle quali l’INVALSI lavora da decenni, come l’italiano e la matematica. Questa tendenza, tuttavia, è ampiamente compensata dal vantaggio che deriva dall’abbassamento della dispersione esplicita.



Va anche rilevato che, a nostro avviso, se il trend in declino di quest’ultima si dovesse mantenere, il sistema scolastico avrebbe modo di intervenire sulla fascia di popolazione più fragile, la quale, se espulsa, non potrebbe più, ragionevolmente, compiere progressi. Occorre considerare infine che l’abbassamento della media dei risultati, in alcune regioni a forte tasso immigratorio, dipende anche dalla presenza di alunni che provengono da background socioculturali e linguistici di altri Paesi.

Nonostante il dato positivo del calo degli abbandoni, resta di fatto che il tasso di dispersione implicita è piuttosto elevato. Da questo punto di vista, sarebbe stato bene che INVALSI ci avesse fornito un raffronto con i dati di dispersione di altri Paesi, per poter avere una cognizione più precisa del fenomeno italiano.

Infatti, ammesso che sia possibile inferire qualche valutazione dalle ricerche internazionali come PISA-OCSE, considerati i risultati degli studenti italiani in rapporto a quelli dei Paesi più evoluti dal punto di vista educativo, è plausibile affermare che i tassi di dispersione rappresentano un dato negativo da non sottovalutare.

Altrettanto negativi sono i divari territoriali tra le varie aree che compongono il nostro Paese e che vedono penalizzato il Sud e le isole. In alcune regioni, infatti, il 60% degli alunni (quasi 2 su 3) non raggiunge risultati adeguati e coerenti con gli standard attesi, particolarmente in matematica.

Va tuttavia notato che, in certi casi, interventi granulari delle singole scuole hanno prodotto miglioramenti sul rendimento degli alunni. In tal senso, i finanziamenti del PNRR sono andati a buon fine, ma ciò non ha riguardato tutte le regioni che hanno fruito di quei sostegni, come la Sicilia, dove essi sono risultati inefficaci. Ci auguriamo che il ministero in futuro indaghi su queste disparità, in maniera tale da individuare i fattori incidenti sui risultati negativi.

Il tema dei risultati scadenti di alcune fasce della popolazione scolastica, inoltre, si associa a quello del non elevato tasso di eccellenze, che diminuiscono man mano che si scende verso Sud, muovendo da regioni del Nord come il Trentino-Alto Adige.

INVALSI ha coniato un neologismo, “fragilenza”, per indicare come i problemi di fragilità e di eccellenza costituiscano le due facce della stessa medaglia. In altri termini, l’attenzione verso le fasce più deboli di popolazione scolastica deve accompagnarsi con quella verso gli alunni artefici dei risultati migliori: in questo modo può migliorare il sistema scolastico complessivo.

Un altro elemento positivo che INVALSI evidenzia sono i miglioramenti nell’apprendimento della lingua inglese che, particolarmente nella scuola primaria, sono evidenti. Ma la fascia cui dedicare maggiore cura, anche ai sensi dei criteri di equità cui dovrebbe corrispondere l’attività delle scuole, è quella 0-6 anni, perché la positività degli apprendimenti in quel periodo dell’infanzia si ripercuote favorevolmente nello sviluppo successivo della carriera scolastica.

Analogamente, le carenze educative in quella fascia di età e nella scuola primaria si riverberano negativamente negli apprendimenti successivi.

Importante – come abbiamo suggerito agli inizi – è l’indagine sulle competenze digitali, che rappresenta una novità. Essa è stata condotta adottando una prospettiva europea, in maniera tale da poter in futuro comparare i dati. Per il momento si possono registrare dei buoni risultati al termine del secondo anno di scuola superiore, in cui il livello di competenza degli alunni appare intermedio o avanzato.

È plausibile ritenere che i diversi effetti regionali tra le scuole del Sud, che hanno fruito dei finanziamenti PNRR, siano da mettere in correlazione con differenti modalità di governance degli istituti.

Ciò significherebbe, come abbiamo già espresso su queste pagine, che gli aspetti negativi del rendimento scolastico sono inevitabilmente connessi con la obsolescenza del sistema di governo delle scuole, che risale ai decreti delegati di oltre mezzo secolo fa e ad una autonomia scolastica che quest’anno compie 25 anni senza essere mai stata sottoposta a una revisione complessiva.

Già adesso è possibile scorgere alcune istituzioni scolastiche soggettivamente più adeguate alla navigazione dell’attualità. Definire ed esportare quelle best practices è una sfida che rimane aperta.

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