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Home » Lavoro » Pensioni » RIFORMA PENSIONI & MANOVRA/ Da Quota 41 flessibile all’uscita a 64 anni, le ipotesi che è meglio evitare

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RIFORMA PENSIONI & MANOVRA/ Da Quota 41 flessibile all’uscita a 64 anni, le ipotesi che è meglio evitare

Giuliano Cazzola
Pubblicato 12 Agosto 2025
Ansa

Ansa

Si avvicina la Legge di bilancio e si susseguono le ipotesi di intervento anche in tema di pensioni. Ma è bene essere prudenti

Cominciano i giri di valzer in vista del disegno di legge di bilancio. Al rientro, dopo la pausa estiva, le idee che oggi circolano a mezz’aria si depositeranno sui tavoli per i necessari confronti in sede politica e con le parti sociali. I margini sono piuttosto stretti per quanto riguarda i settori di spesa, anche perché vi è entrata a gamba tesa la questione dei dazi che, una volta chiarito un contesto ancora confuso, imporrà al Governo interventi a sostegno dei comparti più colpiti.


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Se vi è un settore che meriterebbe di essere ignorato (salvo alcuni accorgimenti collaterali di cui parleremo in seguito) è quello delle pensioni. La Legge di bilancio per il 2025 è riuscita a recuperare dalle macerie degli anni precedenti un caposaldo della riforma Fornero che è una garanzia per la tenuta del sistema: mi riferisco all’aggancio automatico con cadenza biennale degli incrementi dell’attesa di vita ai requisiti anagrafici e contributivi del pensionamento. Il grafico sottostante mette in evidenza come la normativa vigente, incluso l’aggancio automatico, preveda un picco intorno al 2040 per poi discendere a livelli più sostenibili.


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Se si volesse fare del bene al sistema occorrerebbe abbassare il picco e non riportare il livello di spesa alle precedenti performance. In sostanza. va detto un no deciso ai tentativi di sterilizzare il meccanismo di adeguamento che ripartire dal 2027 con un incremento dei requisiti di tre mesi (che è la misura massima prevista dalla legge anche in presenza di incrementi più sostenuti).

Tale normativa è molto equa e opportuna per gestire la fase di transizione dal sistema misto a quello contributivo ovvero tra le ultime generazioni di baby boomers e le prima che andranno in pensione col calcolo interamente contributivo. L’esperienza ha dimostrato che non è efficace la strategia degli incentivi/disincentivi (ovvero il ricalcolo completamente contributivo o il bonus in busta paga per chi rinvia l’uscita) per ritardare l’età di pensionamento.


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Infatti, sono clamorosamente falliti sia Quota 103, sia la maggiorazione del 9% ancorché esonerata dagli oneri fiscali. Per semplificare la foce a delta delle possibili uscite sarebbe utile un bel tratto di penna che mandi in pensione queste norme. E forse anche Ppzione donna di cui ormai si avvalgono – visti i requisiti – poche migliaia di lavoratrici che facendo valere gli stessi motivi di urgenza richiesti da Opzione donna potrebbero avvalersi di altre opportunità di pensionamento o comunque di uscita.

Nei giorni scorsi sui diversi portali si è scritto dei propositi che circolano nelle sedi dei ministeri competenti. Viene confermata l’intenzione di abolire Quota 103, perché “le condizioni imposte negli ultimi due anni, come c’era da aspettarsi, hanno reso la misura poco appetibile e, nei fatti, poco accessibile”. Il Governo starebbe valutando altre ipotesi più concrete tra cui una Quota 41 flessibile, che permetterebbe l’uscita anticipata a chi, entro fine 2025, abbia almeno 41 anni di contributi; almeno 62 anni di età, ma differenza della Quota 103, il calcolo non sarebbe interamente contributivo, bensì sarebbe prevista una penalizzazione sull’importo.

Un’altra ipotesi in discussione è una nuova formula di pensione a 64 anni per chi ha almeno 25 anni di versamenti. Il trattamento, però, sarebbe accompagnato dal ricalcolo contributivo integrale (anche per chi ha iniziato a lavorare prima del 1996) e sarebbe richiesto importo finale pari ad almeno 3,2 volte l’assegno sociale (con una riduzione per le donne in relazione al numero dei figli). Questa impostazione avrebbe l’obiettivo di unificare estendere le regole del pensionamento nel sistema contributivo anche a chi si trova ancora nel sistema misto.

Come affermato più volte è discutibile questa insistenza nel tutelare chi esce a un’età da anziano/giovane in conseguenza della sua storia lavorativa legata a condizioni socio-economiche divenute irripetibili. Il Governo, anziché avventurasi nelle terre minate della previdenza obbligatoria, dovrebbe rivisitare la disciplina della previdenza complementare per recuperare quella visione strategica sull’insieme del pensionamento pubblico e privato che è sempre più necessario nell’ambito dell’entrata in vigore del sistema contributivo.

Sia la Covip, sia la Commissione bicamerale di vigilanza sugli enti previdenziali hanno formulato delle proposte che meritano di essere prese in considerazione, evitando la tentazione di allocare la risorsa del Tfr al servizio della previdenza obbligatoria.

Nel corso di quest’anno, poi, potrebbero realizzarsi due importanti cambiamenti sul fronte pensioni, destinati a incidere sulla possibilità che molti lavoratori possano anticipare l’uscita dal mercato del lavoro. Infatti, in Italia tutto cospira per abbassare l’età di pensionamento in barba agli indicatori demografici e agli aspetti finanziari. Ci ha messo del suo anche la Suprema Corte di Cassazione con due recenti sentenze: la prima stabilisce il riconoscimento di tutti contributi figurativi per raggiungere il requisito dei 35 anni utili alla pensione anticipata; l’altra prevede l’estensione dell’Ape sociale anche ai disoccupati che non hanno avuto accesso alla Naspi.

Tutto ciò, in contrasto con quanto finora sostenuto dall’Inps. In questi casi l’Istituto si regola aspettando un più esteso consolidamento della giurisprudenza. Ma il Governo potrebbe essere di differente avviso. Nel qual caso andrà disposta la copertura finanziaria.

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Tags: Riforma ForneroQuota 41Opzione DonnaInpsGoverno MeloniQuota 103Riforma pensioni

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