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Home » Esteri » Medio Oriente » SCENARIO GAZA E FASE 2/ IL Qatar smaschera il gioco di Netanyahu e mette in angolo Trump

  • Medio Oriente
  • Usa
  • Esteri

SCENARIO GAZA E FASE 2/ IL Qatar smaschera il gioco di Netanyahu e mette in angolo Trump

Int. Filippo Landi
Pubblicato 10 Dicembre 2025
Benjamin Netanyahu e Donald Trump alla Casa Bianca (Ansa)

Benjamin Netanyahu e Donald Trump alla Casa Bianca (Ansa)

Ritiro di Israele, inizio della ricostruzione: il Qatar chiede a Trump di avviare la seconda fase del cessate il fuoco per Gaza. Ma l’ostacolo è Netanyahu

Il Qatar ha detto chiaramente che ha ospitato l’ufficio politico di Hamas a Doha e ha inviato fondi nella Gaza gestita dall’organizzazione palestinese con il placet degli USA. E ora vuole che Trump faccia chiarezza sulla situazione nella Striscia mettendo in atto la fase 2 dell’accordo su Gaza, quella che prevede il disarmo di Hamas ma anche il ritiro di Israele e un comitato palestinese che gestisca la ricostruzione.


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Per questo, osserva Filippo Landi, già corrispondente RAI da Gerusalemme e inviato del TG1 Esteri, il presidente americano ha annunciato che entro la fine dell’anno partirà la seconda fase del cessate il fuoco, invitando il 29 dicembre alla Casa Bianca Netanyahu.

Il punto rimane quale sia l’obiettivo politico di Israele, che si limita a chiedere il disarmo di Hamas, ben sapendo però, che non basta per risolvere la situazione, che senza l’indicazione di un futuro per Gaza si andrà incontro a un’altra crisi e all’espulsione dei palestinesi da una realtà obiettivamente invivibile.


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Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, primo ministro del Qatar, ha detto che USA e Israele sapevano che Doha trasferiva fondi a Gaza quando era governata da Hamas e che furono gli americani a chiedere ai qatarini di ospitare l’ufficio politico di Hamas. Come va interpretata questa uscita?

C’è un detto che dice: “Nulla è più rivoluzionario di quello che già si conosce”. La presenza dei leader politici di Hamas in Qatar era nota ed è altrettanto evidente che quella presenza fosse nell’interesse anche della politica americana. Quello che più volte in questi ultimi anni si è volutamente dimenticato, adesso viene fuori in tutta la sua chiarezza. D’altro canto in Qatar si trova la più grande base aerea militare americana nel Medio Oriente, 10mila tra soldati e aviatori. Era impossibile che si tenessero i contatti con Hamas senza il beneplacito degli americani.


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Perché gli americani hanno chiesto di dare ad Hamas una sede a Doha?

I servizi segreti americani hanno sempre sottolineato che Hamas non era solo un piccolo gruppo terroristico, ma qualcosa di molto più articolato e radicato nella società palestinese. L’assenza di contatti e di conoscenze dirette sarebbero state di pregiudizio per la presenza americana in Medio Oriente. Per quanto riguarda i fondi inviati a Gaza, la necessità nasce dall’esigenza che l’economia della Striscia potesse in qualche modo andare avanti, così come avevano fatto gli Emirati Arabi Uniti, che avevano ricostruito una parte delle strutture edilizie distrutte da Israele nel 2008-2009.

Perché le dichiarazioni di Al Thani sono state fatte proprio in questo momento?

Queste dichiarazioni avvengono nel momento in cui non si sa se la cosiddetta seconda fase, che dovrebbe portare a un cessate il fuoco reale a Gaza, sia nell’orizzonte di Israele oppure no. Il messaggio che viene dal Qatar ha questo significato: è la richiesta di mettere sul tappeto con chiarezza interlocutori e contenuti, altrimenti Doha non potrà più essere della partita. Non più tardi di tre giorni fa il primo ministro qatarino ha detto che siamo in un momento critico del piano Trump.

Il presidente USA comunque ha dichiarato che vuole far partire la seconda fase dell’accordo per Gaza entro la fine dell’anno. Un annuncio che rimarrà sulla carta o ci sono novità sostanziali che fanno pensare a una svolta? Cosa dirà Trump il 29 dicembre nell’incontro previsto con Netanyahu?

Striscia di Gaza
Palestinesi nel nord di Gaza (ANSA-EPA 2025)

L’annuncio di Trump si collega alle dichiarazioni del primo ministro del Qatar, che ha chiesto chiarezza agli Stati Uniti. Una cosa è certa, la situazione così com’è può portare solo a una nuova crisi e a un nuovo conflitto generalizzato. L’affermazione del capo di stato maggiore dell’IDF Eyal Zamir che la cosiddetta linea gialla rappresenta un nuovo confine e che al di là di questo confine Israele intende rimanere è evidentemente incompatibile con un cessate il fuoco che possa reggere. Credo che l’amministrazione Trump l’abbia recepito; l’incontro con Netanyahu è per chiarire quali sono gli intendimenti delle due parti.

Cosa c’è da chiarire in particolare?

La linea Netanyahu fa della forza e della violenza nei confronti degli interlocutori in Libano, in Siria e a Gaza l’elemento centrale. Non c’è una riflessione di carattere politico, né in Israele, né in Europa, su quello che è accaduto, su quello che Israele ha fatto: non solo una guerra, ma una sistematica distruzione di Gaza, con un numero altissimo di morti e di feriti, e nessuna attività medica per curare i feriti più gravi. L’indicazione di un obiettivo politico per uscire da questo disastro, come potrebbe essere il riconoscimento di uno Stato palestinese, viene ignorata dall’attuale governo e parlamento israeliano.

Perché è così importante definire un obiettivo?

L’idea che si possa uscire da questa situazione o consolidare il cessate il fuoco solo con quello che ha chiesto Netanyahu, cioè il disarmo di Hamas, senza indicare nessun tipo di prospettiva politica, definisce una linea di condotta che punta a mantenere l’attuale status quo, ma non a uscire dal conflitto in modo permanente. Nel mezzo c’è una posizione statunitense che forse, pragmaticamente, è più chiara: intuisce bene che Netanyahu non vuole uno Stato palestinese né una situazione che porti alla ricostruzione di Gaza. Questo è il punto nodale che verrà discusso a fine anno fra Trump e Netanyahu.

Cosa ci dovremmo aspettare secondo gli accordi?

La seconda fase, dopo la restrizione degli ostaggi prevedeva l’invio di una forza di stabilizzazione internazionale, quindi non caschi blu, ma un accordo tra Stati che mettono a disposizione le loro forze armate. E in secondo luogo il ritiro degli israeliani per creare un governo provvisorio di tecnici palestinesi che dovrebbero cominciare a gestire un piano che preveda la presenza dei palestinesi stessi all’interno di Gaza. Se la situazione viceversa rimane invariata, la conseguenza sarà l’uscita nel tempo dei palestinesi da Gaza, perché la situazione è invivibile.

(Paolo Rossetti)

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Tags: Donald TrumpFriedrich MerzBenjamin Netanyahu

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