SPY FINANZA/ Gli indizi sul rischio di una crisi peggiore del 2008

- Mauro Bottarelli

Chi pensava che non fossimo di fronte a un nuovo 2008 aveva ragione. Ciò che ci aspetta sembra in effetti essere molto peggio

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Il sistema bancario americano – e con esso politica, watchdogs e regolatori – è ormai con le spalle al muro. Nessun anfratto in cui nascondersi, nessuna via di fuga lungo cui correre. C’è infatti un ambito della crisi bancaria scatenata da SVB che nessun media italiano ha ancora minimamente trattato (scommettete che domani salterà fuori da qualche parte, casualmente?). Ed è quello esiziale del CRE, il commercial real estate.

Perché le banche medio-piccole, tipo SVB o First Republic Bank, fanno capo al 70% dei prestiti immobiliari Usa. E dopo lo schiaffone del 2008, nessuno gioca più tanto volentieri con il mattone e la carta che lo garantisce. Capirete da soli, quindi, come la notizia resa nota lunedì da Bloomberg abbia scosso i piani alti del Sistema: la scorsa settimana, quella della nuova Lehman, il Federal Home Loan Bank System ha emesso debito per 304 miliardi di dollari per generare l’ammontare di liquidità necessaria alle banche medio-piccole per sopravvivere. Si tratta di oltre il doppio del controvalore garantito dalla Discount Window della Fed. E, sostanzialmente, tutto concentrato sul commercial real estate.

L’acronimo FHLB di fatto rappresenta una cooperativa privata gestita da 11 banche regionali che raggruppa 6.500 entità, comprendenti istituti di credito medio-piccoli, ma anche credit unions e società di assicurazioni. Insomma, il sistema nervoso dell’America. Quello vero. Che finanzia chi lavora e investe. E, soprattutto, costruisce o compra case. E che permette al corpaccione muscoloso delle Big 4 di fare il bello e cattivo tempo con derivati e swaps e buybacks.

Ancora peggiore è il dato degli ammontare relativi ai vari giorni della settimane: se lunedì 13 la FHLB ha emesso debito per 111,8 miliardi, la maggior issuance su singolo giorno in 90 anni di storia, il venerdì 17 ci si è giocoforza dovuti limitare a 21,7 miliardi. Insomma, contagocce. E conseguente logica della sabbia nella clessidra che comincia a scorrere sempre più velocemente. Detto fatto, poche ore dopo la pubblicazione del campanello d’allarme del real estate, sempre Bloomberg lanciava lo scoop: funzionari governativi starebbero già lavorando a un piano per espandere temporaneamente a tutti gli istituti del Paese le garanzie federali della FDIC (Federal Deposit Insurance Corp.) “al fine di creare un cuscinetto di difesa contro una potenziale crisi finanziaria in arrivo”.

Cosa ci dice questa notizia, apparentemente per addetti ai lavori? Che chi pensava che non fossimo di fronte a un nuovo 2008 aveva ragione. Ciò che ci aspetta è in effetti molto peggio. Perché negli Usa, i depositi totali sono pari a 18 trilioni. Ma, come mostra il grafico, la disponibilità della FDIC è solo di 125 miliardi. Come si fa? Esattamente come si è fatto la scorsa settimana per dar vita al Bank Term Funding Program (BTFP) per salvare SVB e soci: attivare l’Exchange Stabilization Fund, ovvero il bazooka fiscale del Treasury.

L’America sta preparandosi al peggio. Qualcuno avvisi Bruxelles. E sapete perché? Perché ci sono impatti evitabili e altri che invece possono essere solo attutiti. Chissà che la decisione di Axa di liquidare la sua posizione in Mps possa essere messa in relazione a questa dinamica, ovvero una conclamata esposizione della società assicuratrice francese a Credit Suisse pari a 640 milioni di euro, quasi si operasse a incastro fra ciò che è rimediabile (e sacrificabile) e ciò che ormai va iscritto come perdita? Se così fosse, ci sarebbe poco da stare allegri. Anche perché l’incastro appare globale. Perché se l’Europa ha deciso di autoconvincersi che il contagio sia minimo o addirittura inesistente, ecco che negli Usa qualcosa pare essere andato storto. Operando da spoiler.

Il titolo di First Republic Bank, nonostante il salvataggio di sistema messo in campo da 11 banche con i loro 30 miliardi di depositi (non assicurati), sempre lunedì è crollato fino a quota -45%, toccando il minimo storico di 17,12 dollari per azione. Tutto da rifare? Tranquilli, perché JP Morgan sta già operando in tal senso. Jamie Dimon starebbe lavorando per tramutare i 30 miliardi da depositi in iniezione di capitale. E con 70 miliardi di dollari ritirati dai clienti dal collasso di SVB a oggi, First Republic Bank appare una straordinaria cavia da laboratorio. Per cosa? Tramutare un gotha ancora oggi sommerso di riserve in eccesso, nel più grande creditore delle banche medio-piccole statunitensi. Di fatto, posizionandosi nel proverbiale posto al sole per la mossa da grande Gatsby: the coming debt for equity swaps. Per questo occorre tamponare e puntellare il settore del commercial real estate che al 70% dipende da quei piccoli e medi istituti: far pagare ai contribuenti il salvataggio guidato dal Tesoro, salvo poi acquistare tante Maserati al prezzo di una Panda.

Un risiko. Formalmente rischioso, perché non solo ambientato nel pieno di una crisi di liquidità, ma, paradossalmente, addirittura auto-alimentante di ogni nuovo focolaio. Per questo l’Europa farebbe meglio a non tirare sospiri di sollievo troppo profondi. Il quadro d’insieme è quello del videogame delineato da Giulio Tremonti, un susseguirsi di livelli che riservano sempre nuovi nemici da combattere. Più aggressivi, più sistemici. La Fed potrà molto. Ma occorre capire a quale gioco stia giocando. E su quale libro paga risulti iscritta. Non a caso, quando la situazione è divenuta davvero seria, è entrata in campo Janet Yellen con il suo backstop assoluto. E, di fatto, decisamente improbabile. A meno di devastare il bilancio federale.

Il credit default swap a 5 anni di UBS lunedì è esploso, seguito in ordine di aumento da Deutsche Bank, Barclays, Banco Bilbao e Santander. Subito dopo, Intesa Sanpaolo e Unicredit. Davvero non c’è rischio contagio? Occorre cautela, perché il contagio non è sempre logico. Ad esempio, la Tier 1 capital ratio di Credit Suisse era superiore a quella di Deutsche Bank. Eppure, è affondata. Incastri, di fatto. Un puzzle che ogni giorno richiede nuove tessere da inserire, affinché tutto continui a muoversi lungo le coordinate e le traiettorie di un’emergenza assolutamente ordinata, coordinata e organizzata.

A chi toccherà domani? Le crisi, storicamente, aprono varchi enormi alle opportunità. E alle riorganizzazioni, intese anche nell’accezione più spietata e darwiniana del termine. Questa non fa eccezione. Anzi, giorno dopo giorno emergono indizi su come alcuni players abbiano non solo visto arrivare i nuvoloni, ma anche spacciato false previsioni meteo per guadagnare terreno. E tempo. Axa è esposta a Credit Suisse e non poteva più farci nulla, troppo tardi e troppo rumoroso uscire dal gioco. Mps, invece, aveva il passo felpato.

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