Un parroco amatissimo, Don Arul Carasala, è stato ucciso a Seneca, Kansas, da un anziano sconosciuto. La comunità è sconvolta e il movente resta oscuro

In una cittadina del Kansas rurale, un episodio di estrema brutalità e violenza ha coinvolto Don Arul Carasala, parroco amatissimo tra i fedeli della chiesa dei Santi Pietro e Paolo: tre colpi di pistola partiti da un uomo anziano – estraneo alla comunità locale – sono rimbombati tra il silenzio della canonica, provocando un vero shock a fedeli e cittadini, uccidendo il sacerdote, con un movente ancora tutto da chiarire.



Nel cuore più profondo dell’America, nel Midwest spesso dimenticato dai riflettori e dalle cronache, dove la vita scorre tranquilla tra i silenzi contadini e le ritualità invariate nel tempo, la violenza inattesa ha improvvisamente infranto l’equilibrio fragile di una comunità pacifica e devota. A Seneca, piccolissimo comune del Kansas nord-orientale, un parroco amato, rispettato, considerato da molti come un padre spirituale, è stato brutalmente assassinato con tre colpi di pistola.



Don Arul Carasala, 57 anni, originario dell’India, dove aveva ricevuto l’ordinazione sacerdotale nel 1994, è stato freddato dai colpi sparati da un anziano, sconosciuto alla comunità locale, mentre si trovava all’interno nella canonica, la sua casa, il suo rifugio, il luogo da cui per oltre vent’anni aveva donato conforto e ascolto a chiunque ne avesse bisogno.

Il brutale gesto, definito “insensato” dall’arcivescovo Joseph Naumann, ha avuto luogo inaspettatamente, senza preavviso, senza che vi fossero controversie note, senza un’apparente ragione, come se l’assurdo avesse preso forma concreta in un venerdì pomeriggio di normale e consueta serenità. E proprio l’assenza di un movente evidente rende questa tragedia ancora più angosciante, ancora più cupa, come se il male avesse agito nella sua forma più pura e incontrollata.



La canonica, che fino a poche ore prima era stata casa di preghiera, si è trasformata in scena del delitto, e le mura che avevano custodito amorevolmente anni di dedizione pastorale ora trattengono il silenzio dell’inquietudine. La notizia ha fatto il giro del mondo, ma ciò che rimane è il dolore reale, tangibile, di una comunità che piange non solo il suo sacerdote, ma una guida, un amico, un esempio di vita spirituale.

Tra fede e violenza: il parroco ucciso da una pistola sconvolge l’America profonda

Ma chi era Don Arul Carasala? Non solo un uomo di Dio, ma soprattutto un “uomo tra gli uomini”; nato in India, portava nel cuore la spiritualità di un Paese dove il sacro e il profano convivono da millenni, dove le religioni si incontrano e spesso si scontrano, dove essere prete cattolico può essere un gesto di audace coraggio oltre che di vocazione.

Dopo essersi trasferito negli Stati Uniti nel 2004, aveva scelto Seneca come sua nuova casa, una cittadina apparentemente ai margini delle cronache, mai alla luce della ribalta, ma per lui cuore vivo di tutto il suo universo pastorale; dal 2011 ne era diventato parroco, e nello stesso anno divenne anche cittadino americano, simbolo vivente di una Chiesa che emigra, che si sposta con le persone, che accoglie e muta dall’interno.

In un modo frenetico, cosmopolita, tecnologicamente avanzato, dove la funzione del sacerdote risulta sempre più messa all’angolo, quasi dimenticata, padre Arul rappresentava un raro esempio di dedizione autentica e veritiera, di ascolto quotidiano, di vicinanza umile e concreta.

Non era solo il pastore della messa domenicale: era la voce nelle notti buie, la spalla nei lutti, il sorriso nei battesimi, la presenza silenziosa nei corridoi dell’ospedale. “Il suo amore per Cristo e per la Chiesa era evidente”, ha detto l’arcivescovo, ma ciò che colpisce profondamente è quanto fosse chiaro anche il suo amore profondo per le persone e per la sua comunità.

Ed è proprio questo che rende l’assassinio ancora più angosciante e insopportabile: chi può aver avuto interesse ad eliminare un uomo così? E perché proprio con una pistola, simbolo di una violenza americana che continua a mietere vittime anche nei luoghi più impensabili, persino nei santuari della spiritualità?

La morte di Don Arul chiede giustizia, ma presuppone anche una presa di coscienza su quanto poco sia considerata, ad oggi, una vita interamente dedicata al bene collettivo, su quanto siano esposti alla violenza e al male ingiustificato anche i sacerdoti, e su quanto stia fallendo una società che non riesce più a proteggere e tutelare i suoi custodi spirituali.