FINANZA/ Gli Usa preparano un nuovo “attacco” all’Europa

- Mauro Bottarelli

Gli Stati Uniti sono sempre più in difficoltà finanziaria, a causa del debito crescente. Se però la situazione della Grecia peggiorasse, spiega MAURO BOTTARELLI, le cose andrebbero meglio

Usa_Ue_BandiereR400 Foto Imagoeconomica

Detto fatto, la terza ondata di quantitative easing da parte della Fed è pronta! Nonostante proprio ieri il debito Usa abbia toccato il suo tetto legale di 14,3 trilioni di dollari, sempre più voci si fanno sentire in favore di una prosecuzione della politica monetaria espansiva che sta inondando il mondo con moneta a costo e valore facciale zero.

Giovedì scorso è stato il turno dell’economista di Princeton ed ex vice-governatore della Fed, Alan Blinder, che a Bloomberg ha dichiarato chiaramente che una «ulteriore espansione è necessaria», mentre venerdì si è alzata alta in cielo la voce del padrone: Goldman Sachs. Attraverso un report dal titolo “Fiscal Adjustment without Fed easing: a tall order”, a cura di Sven Jari Stehn, la banca d’affari sposa in pieno la tesi di Blinder, sottolineando che per migliorare la figura riguardante il mercato del lavoro, nuovamente in stato di deterioramento, è necessario un nuovo stimolo fiscale.

Un qualcosa di formalmente impossibile, stante la promessa del Congresso di tagli al deficit per 4 trilioni di dollari nei prossimi anni. Occorre, però, vedere come sostanziare e giungere a questi tagli: c’è chi vuole, come i Repubblicani, tagli alla spesa e chi, come i Democratici, punta a un innalzamento delle tasse per i più ricchi. Nonostante nessuno dei due approcci sia destinato a funzionare negli Stati Uniti senza un’austerity indotta da un crash obbligazionario sovrano, Goldman ha una certezza: nessuna riduzione del deficit può funzionare senza l’assistenza parallela della politica monetaria, sia essa un abbassamento dei tassi o un ulteriore programma di Qe.

In parole povere, l’unica cosa che può prevenire una contrazione dell’economia nei prossimi due anni di semi-austerity, è un’ulteriore espansione monetaria. E stante lo stallo politico a Washington, appare chiaro che la palla tornerà a breve nelle mani della Fed, la quale sta già facendo tutto quanto in suo potere per sgonfiare il prezzo delle commodities. Insomma, se come sembra l’unica alternativa è monetaria, prepariamoci a un terzo diluvio di denaro stampato in cantina.

Quanto sta accadendo è chiaro, Goldman ha ripreso il suo ruolo di supplenza rispetto alla politica per quanto riguarda l’economia Usa: d’altronde, un Congresso che per quattro mesi non è riuscito a trovare una soluzione per il tetto di debito che permettesse di sopravvivere ai prossimi 90 giorni – passati i quali, se non ci sarà un innalzamento, sarà default tecnico -, sembra aver quasi bisogno di qualcuno che operi in sua vece. E state certi, quando arriverà giugno e la parola default diverrà qualcosa di quotidiano, il buon Bernanke dovrà affrontare le grida isteriche di molti “esperti” che gli porranno l’alternativa tra deflazione e stampare moneta: secondo voi, per quale alternativa opterà il capo della Fed?

Ma è credibile l’ipotesi di default per gli Usa? E come avverrà? Pagherà il conto solo Wall Street o anche Main street, ancora una volta? Ha provato a immaginare uno scenario simile il think tank Third Way, secondo cui «gli Stati Uniti potrebbero ripiombare in recessione se l’immobilismo politico a Washington forzasse il Paese verso un default sul debito», almeno stando a una nuova analisi pubblicata in quasi contemporanea con il raggiungimento da parte del Paese del limite legale della sua autorità di prendere a prestito. Per il report di Third Way, una tale ipotesi si sostanzierebbe «nella sparizione di 640mila posti di lavoro, un peggioramento ulteriore dello stato di salute del mercato immobiliare, crollo azionario, contrazione dell’attività di prestito se la nazione sarà incapace di pagare i suoi conti».

Insomma, un colpo mortale. Tanto che sia Reuters che Down Jones hanno messo in guardia tutti nel corso della scorsa settimana, visto che il raggiungimento del tetto di debito «renderà impossibile l’accesso del Treasury al mercato dei bonds. I responsabili legali di entrambi i partiti hanno però già reso noto che non approveranno ulteriori incrementi all’autorità di prestito senza che siano compiuti passi per mantenere il debito sotto controllo». Qualche dettaglio? I T-Bills perderanno per sempre la loro aurea di sicurezza, portando con sé un aumento di mezzo punto dei tassi d’interesse e dei costi governativi per prendere a prestito denaro una volta che l’attività di prestito sarà ripartita. Un combinato che si sostanzierà in un aumento di 10 miliardi di dollari del deficit di budget sul breve termine.

L’aumento dei tassi si riverbererà sull’economia reale, causando una contrazione dell’1% del Pil e il taglio di 640mila posti di lavoro. Le banche potrebbero quindi tagliare l’attività di prestito, colpendo le piccole attività e imprese e portando con sé l’aumento deltasso di interesse sulle carte di credito: anche i prestiti per gli studenti e per l’acquisto di automobili diventerebbero più cari. L’indice S&P 500 potrebbe perdere il 6,3% di valore in tre mesi, causando una contrazione dei portafogli dei fondi pensionistici, almeno stando alle valutazione della Janney Montgomery Scott di New York.

Lo status del dollaro di valuta di riserva mondiale potrebbe essere minacciato, visto che gli investitori potrebbero investire denaro in franchi svizzeri, yen o euro: questo potrebbe far crescere l’export Usa, ma aumenterebbe anche i costi per beni di consumo come benzina o generi elettronici. I costi dei mutui immobiliari, che sono legati ai tassi del Treasury, potrebbero salire e il mutuo medio attuale di 221.900 dollari registrerebbe per chi lo accende un aumento di 24.738 dollari lungo la sua estensione temporale, di fatto assestando un ulteriore colpo al già boccheggiante mercato del real estate.

Per Third way, «fare default sul nostro debito non è un’idea astratta che potrebbe colpire poche istituzioni di Wall Street: potrebbe minacciare decine di milioni di americani in modo profondo e di lungo periodo». E a confermare che la situazione è decisamente fluida e preoccupante ci hanno pensato gli hedge funds e gli speculatori che hanno tagliato le loro scommesse al rialzo sulle commodities per un controvalore pari a 17 miliardi di dollari la scorsa settimana, la più grossa inversione a u ribassista dal 2009, stando ai dati resi noti venerdì scorso dai regolatori. I cosiddetti
fondi “managed money£ hanno tagliato le loro posizioni long nette in 22 mercati futures dei Usa su 222mila contratti, pari al 13%, nei cinque giorni che hanno preceduto il 10 maggio scorso, come rileva la Reuters su calcoli resi pubblici dal bollettino settimanale della Commodities Futures Trading Commission.

I dati, basati sia su futures che su opzioni, confermano quindi che molti grossi fondi speculativi, advisors sul commercio di commodities e altre maggiori istituzioni speculative hanno pesantemente tagliato le loro esposizioni proprio nel corso della settimana che ha conosciuto un vero e proprio collasso dei prezzi, prima di porre in essere un modesto rimbalzo. La politica della Fed e la minaccia che presto anche i margini sui contratti futures sul petrolio potrebbero conoscere rialzi come quelli per l’argento hanno sgonfiato i prezzi della commodities, ma resta il problema enorme del debito e della sua gestione: se la risposta, come richiede Goldman Sachs, è quella di ulteriore politica monetaria espansiva, addio Stati Uniti.

Non per colpa del default, ma perchè questa volta la Cina alzerà la voce davvero prima che la bolla
esploda: dollaro scaricato dalle riserve e stesso destino per i T-Bills, ovvero il debito che Pechino detiene in quantità industriale insieme a quel Giappone che, a breve, farà lo stesso per pagare i costi della ricostruzione. Barack Obama e Ben Bernanke stanno decidendo il futuro degli Usa e forse del mondo in questi mesi: c’è poco da stare allegri. A meno che un bel casus belli, vero o presunto, non giunga in soccorso di Washington. Oppure che Dominque Strauss Kahn decida di uscire nudo dal bagno della sua stanza al Sofitel di New York e tenti di molestare la cameriera, facendosi arrestare alla vigilia dell’incontro decisivo con Angela Merkel per discutere del salvataggio della Grecia e dell’Ecofin, nei fatti gettando la situazione europea nel baratro e spingendo la Grecia verso il default, opzione che imporrebbe il salvataggio di tutte le banche elleniche oltre che di due francesi e due tedesche, esposte in maniera colossale al debito di Atene. Il dollaro, ovviamente, ringrazierà.

Tu guarda, a volte, i casi della vita. D’altronde, ve l’avevo detto la scorsa settimana: se Goldman Sachs, al contrario del mondo intero, aumenta la sua esposizione alle securities del Treasuries e si pone lunga sul debito Usa, vuol dire che un motivo per farlo c’è…







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