ALITALIA/ I dati che mandano a picco Colaninno e soci

- int. Gianni Dragoni

Il primo trimestre del 2011 si è chiuso per Alitalia con una perdita di 89 milioni di euro. GIANNI DRAGONI ci aiuta a capire come leggere questo dato

Alitalia_AlaR400 Foto Ansa

Il primo trimestre del 2011, anno che Alitalia conta di chiudere in pareggio, si è chiuso per la compagnia di bandiera con una perdita di 89 milioni di euro, 43 in meno rispetto a un anno fa. Inoltre, nel suo comunicato, Alitalia spiega che questo miglioramento “è stato ottenuto nonostante maggiori costi legati all’aumento del prezzo del carburante, allo sviluppo del piano flotta e all’impatto della crisi sui mercati del Nord Africa e del Giappone, stimabili in oltre 100 milioni di euro”. Come dire che i conti si sarebbero potuti anche chiudere con un utile. Ma in ogni caso, è plausibile l’ipotesi che Alitalia possa chiudere il 2011 in pareggio? «A parte il risultato economico negativo, in un trimestre che solitamente è il peggiore dell’anno nel trasporto aereo, mi sembra – ci spiega Gianni Dragoni, inviato de Il Sole 24 Ore e grande conoscitore della nostra compagnia di bandiera – che i numeri di Alitalia confermino delle difficoltà. È certo difficile trarne delle proiezioni per tutto il 2011, ma ritengo che la situazione di Alitalia sia peggiore di come viene rappresentata. E a questo proposito c’è un dato abbastanza eloquente».

Quale?

Nel suo budget Alitalia prevede per quest’anno un incremento di circa il 10% dei passeggeri trasportati, arrivando a superare quota 25 milioni. Nel primo trimestre l’incremento è stato però dell’1,8%, molto al di sotto della previsione del budget che dovrebbe poi supportare il pareggio operativo. Inoltre, non bisogna dimenticare che i dati Aea (l’associazione europea delle compagnie aeree) dicono che gli altri vettori tradizionali d’Europa, con cui Alitalia principalmente si confronta sul mercato, nello stesso trimestre hanno registrato una crescita dei passeggeri più alta (in media del 4,8%). La nostra compagnia di bandiera continua quindi a viaggiare al di sotto delle performance di mercato.

Come vanno giudicati i conti di Alitalia rispetto a quelli dei suoi concorrenti?

Non abbiamo ancora il quadro economico di tutti i vettori, ma la loro situazione non appare così negativa. È vero, per esempio, che Lufthansa ha peggiorato i risultati economici, ma non quello operativo che, seppur in perdita, è migliorato. L’International airlines group, nato dall’integrazione tra Iberia e British Airways, addirittura è riuscito a chiudere il trimestre in utile.

Nel suo comunicato, Alitalia sembra dire che senza alcuni “intoppi” il trimestre si sarebbe potuto chiudere in utile. Cosa ne pensa?

Forse Alitalia dovrebbe spiegare meglio a che cosa si riferisce. Tuttavia, se solo consideriamo gli oneri per la flotta dobbiamo ricordare che questi sono normali per una compagnia aerea. Peraltro, questi costi ci sono stati per tutti gli altri vettori.

 

In suo articolo del 10 maggio, lei citava un dato de Il Corriere della Sera: il provento medio per passeggero di Alitalia è diminuito dai 134 euro del debutto di Cai agli attuali 110. Cosa può avere causato un calo del genere?

 

Premetto che questo dato mi è stato confermato da alcuni fonti e il Corriere l’aveva già scritto, quindi ho ritenuto giusto citarlo, ma non è un dato ufficiale dell’azienda. Anzi, Alitalia lo contesta, senza però dire quale sia quello reale. Non saprei dire con certezza che cosa può aver determinato questo andamento, anche se penso che una causa potrebbe essere la forte pressione competitiva sulle tariffe che Alitalia sente da parte delle compagnie low cost come Ryanair o Easyjet.

 

Nello stesso articolo, lei aveva anticipato di un giorno l’uscita di Fingen dalla compagine sociale di Cai, lasciando intendere che altri soci non vedrebbero l’ora di fare altrettanto. Conferma queste indiscrezioni?

 

Anche se pubblicamente non ci sono dichiarazioni in merito, confermo un certo “malumore” tra i soci, perché i risultati economici restano negativi, al di là delle previsioni. Ricordiamo che Cai immaginava di avere un utile quest’anno: obiettivo che è stato spostato al 2012. C’è poi un forte deterioramento patrimoniale: la compagnia è sottocapitalizzata, dato che ormai dopo il primo trimestre il patrimonio netto consolidato è inferiore ai 500 milioni di euro.

 

Ci sono dei nomi?

 

La Vitrociset di Edoarda Crociani aveva manifestato l’intenzione di cedere la sua quota (15 milioni di euro), ma non ha trovato acquirenti. Nel 2009, invece, c’era stato il giallo Marcegaglia: si diceva che la presidente di Confindustria (che ha una quota di 10 milioni) volesse uscire, ma poi è rimasta. Probabilmente, è stata convinta a farlo perché, vista la sua partecipazione simbolica come capo degli industriali, la sua uscita avrebbe potuto indebolire la coesione della cordata, che comunque oggi non mi pare più molto unita. C’è poi un altro fatto da non trascurare.

 

Di che cosa si tratta?

Pochi giorni dopo l’uscita di Fingen è stata presentata la relazione trimestrale di Atlantia, la società autostradale dei Benetton, che ha investito 100 milioni in Alitalia. Nel documento c’è questo passaggio: “In relazione alle persistenti perdite maturate dalla partecipata Alitalia e al deterioramento di alcuni fattori operativi, in occasione del bilancio intermedio al 30 giugno 2011 sarà aggiornata la stima del valore della partecipazione e saranno rilevati i conseguenti riflessi in bilancio”. Ciò, oltre a significare che ci sarà una svalutazione della quota detenuta in Alitalia, mi sembra essere una critica forte alla sua gestione e non solo ai risultati economici.

 

Secondo lei, date queste difficoltà e in vista della scadenza del lock up nel 2013, il futuro di Alitalia sarà ancora italiano?

 

Non credo, o almeno non con questi soci. È solo questione di tempo: Alitalia avrà bisogno di una ricapitalizzazione, anche perché fa fatica a fare investimenti, non sta espandendo la flotta come gli altri principali vettori. E se la compagnia avrà bisogno di liquidità e i soci non saranno in grado o non vorranno tutti rimettere mano al portafoglio (e non mi pare che ne abbiano intenzione dato che la quota Fingen non l’ha voluta comprare nessuno, ma l’ha dovuto fare Banca Intesa che è un po’ il garante “politico” dell’operazione), a quel punto Air France potrebbe invece farlo, portando la sua quota oltre il 25%. Questo potrebbe anche accadere prima della scadenza del lock up. C’è però un’altra eventualità.

 

Quale?

 

È un discorso ancora acerbo, ma resta sempre una possibilità: che quel nuovo fondo che è stato fatto intravvedere attraverso la Cassa depositi e prestiti per l’intervento in Parmalat, che poi non si è concretizzato, possa essere creato e poi magari utilizzato anche per Alitalia. In questo caso ci sarebbe un ritorno dello Stato nel capitale, cioè un fallimento del progetto Cai per come è stato concepito.

 

In un’intervista ad Affari&Finanza il presidente di Alitalia, Roberto Colaninno, ha lasciato intendere che accoglierebbe un intervento del genere non per coprire le perdite, ma in un’ottica di investimento orientato allo sviluppo a lungo termine.

 

È vero, ma non dobbiamo dimenticare che la storia dell’economia italiana (basta pensare alle vicissitudini dell’Iri) ci insegna che, salvo casi di imprese già fallite e decotte, quando ci sono delle difficoltà e si chiede l’intervento dello Stato questo viene sempre giustificato come una prospettiva di investimento e di sviluppo, quando in realtà il problema è solo di garantire la continuità e la stessa sopravvivenza dell’azienda.

 

Dall’inizio dell’anno si rincorrono voci e smentite su una possibile partnership o addirittura una fusione tra Alitalia e Meridiana. Cosa ne pensa?

Mi sembra che queste voci abbiano avuto il solo effetto di far salire le quotazioni in borsa, fino a cifre irreali rispetto al valore economico della società, di Meridiana, che resta una piccola compagnia, con aeroplani vecchi e risultati fortemente negativi. Onestamente non vedo come unire due debolezze come Alitalia e Meridiana, indipendentemente dai valori economici di un’eventuale fusione, possa creare un soggetto forte. L’unico presidio strategico importante che Meridiana può offrire sono gli slot che possiede nell’aeroporto di Linate, che è stato blindato per decreto legge alla concorrenza (specie di Lufhtansa) a favore di Cai. Se Alitalia teme che Lufthansa prenda Meridiana per conquistare degli slot a Linate può darsi che cerchi di acquisirla. Non credo, però, che i tedeschi farebbero follie per Meridiana.

 

A proposito di concorrenza, quest’anno scadranno gli effetti della legge 166/2008 che hanno permesso una posizione dominante della nuova Alitalia sul mercato italiano, che, stando a un recente studio di Kpmg, è il “paradiso delle low cost”. Andiamo incontro a un futuro sempre più cupo per la compagnia di bandiera?

 

Innanzitutto c’è da dire che, nonostante gli interventi legislativi per bloccare la concorrenza, il mercato italiano è cresciuto, soprattutto grazie all’offerta delle compagnie low cost. Staremo a vedere cosa accadrà alla scadenza della norma che lei citava. Può anche darsi che a qualcuno venga in mente di prorogarla e la cosa non mi stupirebbe. In ogni caso, il problema di Alitalia è che una compagnia che cresce e investe poco, anzi, nel primo trimestre ha ridotto la sua offerta, cadendo forse nel vecchio errore per cui visto che si chiude in perdita, se si vola meno si perde di meno. Il problema di questo assioma, però, è che sembra dimenticarsi dei costi fissi alti. Se poi i passeggeri in Italia sono aumentati del 7% nel primo trimestre, mentre una compagnia che opera prevalentemente sul mercato interno come Alitalia li ha visti aumentare solo dell’1,8%, allora vuol dire che la maggior parte di questi “nuovi” passeggeri ha volato con la concorrenza.

 

(Lorenzo Torrisi)





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