FINANZA/ L’abbraccio mortale tra Germania e Grecia prepara la tempesta perfetta

- Mauro Bottarelli

C’è un intreccio potenzialmente mortale tra Germania e Grecia, denuncia MAURO BOTTARELLI: Atene sposta altro debito su Bruxelles, mentre il governo tedesco potrebbe votare contro l'EFSF

BceR400_4ott10 Foto Imagoeconomica

Ormai siamo all’applicazione della logica pavloviana per i mercati: Ben Bernanke parla, dicendo tutto e niente e le Borse cominciano a sbavare… ops, salire. L’irrazionalità è ormai legge. Come decodificare altrimenti il lancio Ansa di ieri mattina alle 11.44: “Borse: Atene corre (+9,4%) su ipotesi fusioni banche”.
Che succede, quindi? La seconda e la terza banca della Grecia hanno annunciato ieri la loro fusione con un investimento del fondo sovrano del Qatar: Eurobank e Alpha Bank si sposano, facendo di due bilanci da mani nei capelli, uno solo. Perché quindi festeggiare? Il Qatar, già azionista con il 5% in Alpha Bank, dovrebbe investire l’astronomica e risolutiva cifra di 500 milioni di euro nell’ambito di un aumento di capitale da oltre 2 miliardi e arrivare al 16 per cento della newco. Rally irrazionali anche per i principali concorrenti del nuovo gruppo, National Bank of Greece (+28,42%) e Piraeus Bank (+28,75%), sulla scorta di possibili, ulteriori operazioni di consolidamento del settore. Bene, finiamola con le balle e passiamo alla realtà.
Sapete quanto paga di rendimento un bond annuale greco? Il 60 per cento! E il biennale? Il 44 per cento! Siamo già quattro punti sopra il livello raggiunto lo scorso luglio quando Atene fu salvata per la seconda volta dall’Ue. Pensate che la fusione di due malati dia vita a un soggetto sano? No, questa fusione è stata fatta semplicemente perché i due istituti erano arrivati al rischio di chiusura di alcuni rami di attività e al congelamento dei prelievi bancomat e agli sportelli. D’altronde, come avevo scritto giovedì scorso, la Banca centrale greca ha dovuto attivare l’Emergency Liquidity Assistance (ELA), di fatto il prestatore di ultima istanza poiché dimostra che le banche elleniche hanno terminato il collaterale di qualità per ottenere finanziamento, anche dall’onnivora Bce! Quindi, cari amici, altra porcheria è finita nello stato patrimoniale dell’eurozona, già sotto stress per gli acquisti di Btp e Bonds da parte dell’Eurotower. E voi pagate! Ma quanto potrà durare? Non molto.
Lungi dal ritenere le vendite allo scoperto la ragione dei crolli dei titoli bancari – come se servisse Gordon Gekko per dar vita a un derivato ibrido o per acquistare opzioni put per aggirare il bando -, io penso che ormai il ticchettio si stia facendo più sinistro ogni giorno di più: attivando l’ELA, di fatto, Atene sposta altro suo debito su Bruxelles e questa operazione potrebbe essere insostenibile. Politicamente prima che economicamente. Già, perché come tutti i meccanismi europei, anche questo è piuttosto avaro di dettagli.

L’ELA nacque sotto la supervisione legale europea per permettere alle banche centrali di offrire liquidità agli istituti nazionali quando questi terminavano collaterale di qualità per ottenere finanziamenti dalla Bce, un’azione temporanea e solo per casi di comprovata gravità: insomma, un qualcosa di limitato e, soprattutto, di ultima istanza. Accettando collaterale di livello più basso, il debito spostato sull’ELA dovrebbe restare di responsabilità greca ma fino a che la Grecia resterà in piedi attraverso i salvataggi europei e le sue banche dipenderanno dalla Bce, in pratica i prestiti sono legati e quindi garantiti dall’eurozona. I termini del prestito e altri dettagli, come anticipavo, non sono resi pubblici. E l’esperienza ci dice che quando l’Irlanda attivò l’ELA, questa restò operativa per quasi un anno e le banche ne diventarono completamente dipendenti. Altro che fusioni da festeggiare in Borsa!
Ma la festa, come vi dicevo, sta per finire. Il mese di settembre sarà infatti quello della verità, non tanto per la Borsa o per il mercato obbligazionario, quanto perché si deciderà il destino politico di Angela Merkel, ovvero della detentrice della golden share europea e quello dei meccanismi di salvataggio europei. La Cancelliera tedesca ha infatti cancellato un importante viaggio in Russia previsto per il 7 e 8 settembre prossimi poiché concomitante con due appuntamenti vitali: la discussione al Bundestag sul fondo salva-Stati e la sentenza della Corte costituzionale sulla liceità di questo meccanismo. Se la Corte sancirà che l’EFSF con i suoi 440 miliardi di dotazione – 360 dei quali già stanziati per Grecia, Portogallo e Irlanda e quindi ipotecati – viola i Trattati o mina la sovranità fiscale tedesca, addio eurozona, tanto che il direttore dell’EFSF, Klaus Regling, ha dichiarato che ormai “l’isteria è dilagante in Germania”.
Anche perché, stando al’ultima conta, 23 membri della coalizione di governo al Bundestag intendono votare contro l’EFSF e il pacchetto di salvataggio, compresi 12 dei 44 membri del principale alleato della Cdu, ovvero la Csu bavarese. Se così sarà, la Merkel ha due strade: andare incontro a una bocciatura del piano e o cercare l’accordo con la Spd, l’opposizione socialista. In entrambe le ipotesi, l’epilogo sarebbe lo stesso: dimissioni ed elezioni anticipate. Un’opzione resa ancora più a rischio visti i due appuntamenti elettorali che attendono quasi in contemporanea la Cancelliera, ovvero il voto regionale del 4 settembre nel Meclemburgo e del 18 a Berlino. Stando agli ultimi sondaggi della Zdf, nel Meclemburgo, Land in cui è cresciuta proprio Angela Merkel, i socialisti della Spd sono al 35 per cento, davanti alla Cdu della Cancelliera con il 28 e alla Linke con il 16,5. Anche a Berlino è certa la rielezione del borgomastro socialdemocratico Klaus Wowereit, il cui partito è in testa con il 33 per cento mentre alla pari, con il 20,5, si collocano la Cdu e i Verdi. Insomma, settembre potrebbe rappresentare la “tempesta perfetta” per una Germania già in netto rallentamento di crescita ed export.

Ma c’è di più, visto che per porre pressione sulla Merkel, gli alleati bavaresi della Csu hanno redatto un documento, primo firmatario il capogruppo al Bundestag, Joahannes Singhammer, in cui si accusa la Bce di aver pericolosamente anticipato i tempi, scavalcando i parlamenti nazionali e agendo in nome dell’EFSF prima che questo sia ratificato, acquistando bonds italiani e spagnoli sul mercato secondario.
Di più, nel documento presentato ieri, la Csu rimanda al mittente l’ultimo accordo tra la Merkel e Nicolas Sarkozy, affermando che “un governo economico dell’eurozona è inaccettabile” e soprattutto chiede cambiamenti nei Trattati Ue affinché sia permesso agli Stati di andare in bancarotta e all’Ue di espellere dall’euro quei Paesi che si macchiano di continue violazioni. Ma la signora Merkel, come anticipato, deve guardarsi anche dalla fronda interna se è vero che il portavoce per gli Affari interni, Wolfgang Bossbach della Cdu, ha annunciato il suo no al provvedimento in esame: “Non posso votare contro la mia coscienza”.
La maggior parte degli analisti pensa che la legge istitutiva dell’EFSF passerà ma il compromesso imporrà il mantenimento dell’attuale dotazione di 440 miliardi e vieterà espressamento il suo aumento a 1,5 trilioni di euro, cifra che per le principali banche è necessaria per tutelare Italia e Spagna sul mercato obbligazionario, come ora sta facendo la Bce. Detto fatto, se così sarà, verrà a mancare di colpo lo scudo europeo proprio nel mese di maggiore necessità di rifinanziamento per il nostro debito e lo spread tornerà a salire vorticosamente. E proprio ieri la Bce ha reso noto di aver acquistato la scorsa settimana sul mercato secondario 6,65 miliardi di bonds dei cosiddetti Piigs, dato che va a sommarsi ai 22 di tre settimane fa e ai 14,3 di due settimane fa e che porta il totale negli ultimi sette mesi a 115,5 miliardi di euro e Trichet a dire in audizione all’Europarlamento che “la Bce non è la Fed”. Quindi, signore e signori gli acquisti finiscono qui, da ora in avanti vi arrangiate: l’asta di obbligazione a medio e lungo termine di stamattina del Tesoro ci darà una prima “prezzatura” del mercato alle parole della Bce.
Ma l’intreccio potenzialmente mortale Germania-Grecia non finisce qui. E ad Atene, vedendo il precipizio sempre più vicino, alzano infatti la voce. O, quantomeno, minacciano di trascinare con sé qualche altro partner: la Grecia ha reso noto che procederà al piano di swap del debito, parte critica del secondo pacchetto di salvataggio internazionale, solo se ci sarà una partecipazione di almeno il 90 per cento dei creditori privati, attualmente attivi per meno del 50. E sono ancora parecchie le “bad banks” tedesche, agenzie create con il supporto del settore pubblico, strapiene di debito greco a dover decidere se partecipare o meno al piano, il cui termine per offerte volontarie e non vincolanti scade il 9 settembre. Circa 7,4 miliardi di debito sovrano ellenico sono detenuti dalla FMS Wertmanagement mentre la Erste Abwicklungsanstalt ne ha in pancia 1,1 miliardi, entrambe le detenzioni lasciate da Hypo Real Eastate e WestLB, rapidissime nello scaricare bad assets in queste agenzie para-governative e ripulire un po’ i bilanci. Ma proprio la governance e l’assetto societario para-statale di queste entità, non permette chiarezza sulla possibilità di aderire allo swap, visto che questo sarebbe limitato al settore privato.

La sola FMS detiene il doppio di debito greco di Commerzbank, a sua volta il più grosso creditore privato di Atene. Insomma, ad oggi il via libera all’iniziativa dell’IFF è giunto solo da Commerzbank, Deutsche Bank, Bayern LB, dalle compagnie assicurative Munich Re e Allianz e dall’asset manager DekaBank. Il tempo però stringe, i rendimenti greci si fanno sempre più insostenibili, le banche illiquide e gli obiettivi di bilancio per il 2011 pressoché impossibili da raggiungere, come certificato ieri dalla trojka Ue-Bce-Fmi in missione per l’ennesima volta ad Atene.
La tempesta perfetta è pronta, settembre è il mese della verità per l’Europa. Sarà per questo che ieri, a fronte dell’impasse sulla questione del collaterale richiesto alla Grecia per ottenere prestiti, quei furboni di finlandesi hanno avanzato la loro proposta: ovvero, creare una compagnia con sede in Lussemburgo, un bel trustee, per detenere assets come security per nuovi prestiti alla Grecia. E se Atene dovesse fare default sui quei prestiti legati all’EFSF, la proprietà delle azioni della compagnia detentrice verrebbero trasferite agli Stati membri. Non sarà il Partenone che diventa tedesco o le Cicladi che diventano francesi ma davvero poco ci manca: e la tentazione di lasciare Atene al suo destino potrebbe, ora, diventare davvero irresistibile. Tanto più che non esistono speranze di evitare un default da qui a fine anno con il rendimento del bond a 1 anno al 60 per cento.







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