FINANZA/ Sapelli: una risposta alla crisi è “nascosta” in una banca

- Giulio Sapelli

Partendo da una lettera di Luigi Luzzatti, GIULIO SAPELLI compie una riflessione sulle Banche Popolari in un momento in cui si sta discutendo della sua trasformazione in Spa

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Dalla lettera del 1881 che Luigi Luzzatti, fondatore del movimento delle Banche Popolari e Presidente Onorario della Banca Popolare di Milano, aveva inviato all’Assemblea dei Soci, in sua assenza, perché trattenuto a Roma da importanti impegni di politica economica. Scriveva il Luzzatti all’allora presidente Lisiade Pedroni: “Se la grave discussione pel corso forzoso (si stava discutendo allora, nel 1881, l’introduzione del corso forzoso) non mi trattenesse qui, avrei accolto il tuo cortese invito di assistere all’adunanza generale della nostra Banca Popolare. Giunta a sì meravigliosa prosperità, avrei voluto ricordare ai Soci antichi, che mi aiutarono a fondarla, e narrare ai nuovi, che ne vedono i benefici, le prime origini umilissime e com’essa debba la sua presente fortuna a quei principi di mutualità e di previdenza, che tu e i tuoi colleghi avete custodito con tanta saldezza.

Rammento ancora con animo lieto quelle sere d’inverno del 1864 quando, nella sala dell’Associazione Generale degli Operai a Santa Marta, svolgevo la dottrina delle società cooperative e gettavo, su suolo così propizio, la semente che ha fruttificato rigogliosamente. Oggidì un solo pericolo sovrasta sulla nostra istituzione, ed è che, sedotta dai pingui dividendi ed inorgoglita dal successo, ponga in oblio quelle ideali ispirazioni che l’alzarono a tanta grandezza. Fu notato che le difficoltà acuiscono i caratteri; la fortuna li indebolisce. Ma io confido che i colleghi nostri della Banca mutua sentiranno tutta l’altezza della loro missione.

Noi non facciamo soltanto un affare, ma compiamo un dovere; noi non punge lo studio di soverchi lucri, ma un alto senso di solidarietà sociale. Noi, che l’abbiamo fondata ed amministrata disinteressatamente, sapevamo di dare all’Italia l’esempio di una nuova foggia di istituzioni bancarie, nella quale il sentimento del progresso e della previdenza sociale spegnesse ogni pensiero di troppo avido tornaconto individuale”.

Leggere questa lettera del più illustre tra i liberali sociali europei dell’Ottocento, avendo nella mente quello che oggi sta accadendo nella Banca Popolare di Milano, ci riempie insieme di speranza e di sgomento. Lo sgomento è evidente sol se si pensa al fatto che ciò che emerge dalla discussione in merito a questa veneranda istituzione milanese non sono i propositi qui con tanta fermezza espressi da uno dei padri fondatori del movimento cooperativo italiano. Ciò di cui oggi si discute è se esistano patti o vincoli segreti tra attori economici che in nulla trovano pertinenza coi propositi così bene espressi da Luzzatti.

È pur vero che successive modifiche legislative e furori iconoclasti che si manifestano, invece del rispetto delle differenze di opinioni e di realizzazioni delle istituzioni bancarie, hanno precostituito il terreno perchè si scatenassero quegli appetiti individualistici e acquisitivi a cui Luzzatti sdegnosamente faceva riferimento. Questo vuol dire che l’ordito stesso della Banca Popolare di Milano, che è un ordito cooperativo, rischia di lacerarsi per sempre e di lasciare il posto a istituzioni filantropiche che si accompagnano a una banca capitalistica che nascerebbe per soddisfare le mire di un pugno di ricchi investitori.

Per quanto concerne la speranza, essa risiede nell’auspicio che tutti coloro che oggi si riconoscono nelle ispirazioni che Luzzatti così bene illustrava trovino in se stessi e nella comunità sociale una ragione di riscatto e di riaffermazione degli ideali cooperativi. Questi ideali sono oggi vere e proprie forme di vita e di sopravvivenza che si offrono alle piccole imprese, agli artigiani, ai commercianti, a noi popolo minuto e ai dipendenti stessi della banca che, dinanzi al pericolo di vedere crollare in rovina una così storica e meravigliosa istituzione, dovrebbero abbandonare tutte le divisioni e ritrovarsi nella difesa del voto capitario.

Infatti, quale che sia la ricchezza di singoli componenti del corpo sociale, il voto capitario rimane lì, insormontabile macigno dinanzi alle sperequazioni sociali, alle differenze di ricchezza che pur si manifestano anche nel corpo stesso della Banca Popolare ma che non debbono determinarne il destino. Se ciò accadesse saremmo tutti più deboli dinanzi alla crisi economica, saremmo privati di un grande strumento educativo alla solidarietà sociale.

Milano e l’Italia, infine, perderebbero una parte importante di quel patrimonio di testimonianza dell’aiuto solidale e comunitario che la Caritas in Veritate del grande Pontefice Benedetto XVI ci ha lasciato in eredità. 





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