RIPRESA?/ Forte: così Renzi ha frenato il Pil dell’Italia

- int. Francesco Forte

Per FRANCESCO FORTE, il fatto che a crescere siano i servizi e l’agricoltura ma non l’industria è indice del fatto che incidono di più i consumi rispetto agli investimenti

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«I dati sul Pil italiano rivisti al ribasso sono una conseguenza della scelta del governo di fare deficit per rilanciare i consumi anziché per fare investimenti». Lo evidenzia il professor Francesco Forte, ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie. Ieri l’Istat ha pubblicato la stima preliminare sul Pil, da cui risulta un aumento dello 0,1% tra terzo e quarto trimestre 2015 e dell’1% tra quarto trimestre 2014 e stesso periodo del 2015. Nel quarto trimestre 2015 la Francia cresce invece dello 0,2% e 1,3%, gli Stati Uniti dello 0,2% e dell’1,8% e il Regno Unito dello 0,5% e dell’1,9%. Nel corso dell’intero 2015 il Pil italiano registra un +0,7% calcolato sui dati trimestrali grezzi e un +0,6% corretto per gli effetti di calendario.

Professore, i dati italiani sono al di sopra o al di sotto delle aspettative?

Questi dati comportano una valutazione al ribasso del Pil rispetto alla previsione del +0,9% contenuta nel documento di programmazione finanziaria, contro il +0,7% del Fmi e il +0,6% della Commissione Ue. Alla fine dell’anno scorso Renzi aveva parlato di un +0,8%, mentre adesso siamo al +0,7%.

Finalmente però l’Italia torna a registrare il segno positivo…

Sì, ma la crescita, tra l’altro minore di quella realizzata da Francia, Germania e dalla media degli altri Paesi, comunque è ottenuta mediante il deficit di bilancio. È pur vero che nella crescita del Pil c’è una buona componente estera, favorita dal ribasso del prezzo del petrolio e delle materie prime in generale. Abbiamo così una migliore bilancia dei pagamenti a parità di esportazioni e una maggiore capacità di esportare a parità del costo del lavoro. Infatti le materie prime e i prodotti intermedi che importiamo ci costano meno. Il lato del commercio internazionale del resto risente delle obiettive difficoltà internazionali presenti su vari fronti.

Che cosa accade invece sul fronte interno?

Sul lato della domanda interna abbiamo un indebolimento tendenziale della crescita, come pure della produzione industriale. Crescono invece servizi e agricoltura. Deficit di bilancio e minore costo dell’energia fanno infatti crescere il potere d’acquisto, lasciando ai consumatori una maggiore disponibilità. Questa crescita però dal punto di vista strutturale non è molto solida, in quanto è sostenuta da fattori contingenti. C’è un deficit di bilancio che necessariamente si riduce e una diminuzione del prezzo del petrolio in parte strutturale, ma in parte destinata quantomeno a bloccarsi. Il prezzo del petrolio raggiungerà un livello tendenzialmente maggiore di quello attuale, e comunque non sarà facile superare i record della fine del 2015.

Significa che ci aspetta un 2016 peggiore delle attese?

Questo 0,2% in meno di Pil rispetto alle previsioni iniziali si riflette sul rapporto debito/Pil che avremo nel corso del 2016, perché ci trasciniamo dietro un handicap iniziale a parità di percentuale di crescita. D’altra parte verso la fine dell’anno c’è una tendenza alla riduzione della crescita dettata da fattori internazionali e nazionali di vario genere. La situazione quindi non è favorevole rispetto alle previsioni fatte sia per il 2015 sia per il 2016.

 

Quindi lei che cosa prevede per l’anno in corso?

Dal punto di vista strutturale ci sarà una maggiore capacità dell’Italia a crescere, con una buona bilancia dei pagamenti perché come Paese trasformatore siamo favoriti da questo fenomeno mondiale di riduzione dei costi delle materie prime, in particolare energetiche ma non solo. Non c’è però margine per un ulteriore miglioramento.

 

Perché?

Perché nella domanda interna gli investimenti giocano purtroppo una dimensione limitata, e la spinta è soprattutto relativa ai consumi. Il fatto stesso che a crescere siano i servizi e non l’industria è indice del fatto che incidono di più i consumi rispetto agli investimenti. Ci sono molte più attività terziarie e di servizio nei consumi che non negli investimenti. Dal punto di vista strutturale perciò non andiamo bene, e la colpa è del governo che ha fatto deficit con i consumi anziché con gli investimenti.

 

(Pietro Vernizzi)





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