RIPRESA?/ Italia, da grande Paese a piccola boutique

- int. Luigi Campiglio

Per LUIGI CAMPIGLIO, a oggi dal punto di vista dimensionale l’Italia è ancora un grande Paese, entro cinque-dieci anni nella migliore delle ipotesi diventeremo una boutique

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«Entro cinque-dieci anni l’Italia si trasformerà da una grande economia europea in una piccola boutique». È la previsione di Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano. Secondo i dati Eurostat, nel primo trimestre 2016 il Pil dell’Eurozona è cresciuto dello 0,6%, al di sopra delle aspettative dello 0,4%. Fanno meglio delle attese anche Francia e Spagna, rispettivamente con il +0,5% anziché il previsto +0,4% e con il +0,8% anziché il +0,7%. Secondo l’Istat l’Italia nello stesso periodo registra il +0,3%.

Perché l’Italia cresce meno non solo della media dell’Eurozona ma anche di Francia e Spagna?

Quando le politiche economiche si rivelano inadeguate andrebbero cambiate. Non c’è virtù migliore che riconoscere l’errore, che è anche un modo per cambiare e stare meglio. Bisognerebbe quindi prendere atto del fatto che Paesi in situazioni economiche difficili come la Spagna riescono ad avere una crescita molto più brillante dell’Italia. La stessa Francia, che regolarmente è data per grande malata, invece si rivela essere un Paese in crescita. L’Italia non è l’unica nazione ad avere problemi strutturali, ma evidentemente il modo in cui li stiamo affrontando non è quello adeguato.

Che cosa la preoccupa di più?

Vedo con grande preoccupazione la diminuzione della speranza di vita nel nostro Paese, anche se mi auguro che sia un fatto temporaneo. Qualcosa di analogo avvenne tra il 1990 e il 1995 nell’ex Urss nella fase di transizione dal comunismo all’economia di mercato: alcune categorie sociali pagarono la crisi con la vita. Adesso dovremmo fare molta attenzione.

Quali sono le politiche economiche che l’Italia dovrebbe cambiare?

In Italia non si finisce mai di fare riforme sulle pensioni, ma in questo modo si va a toccare un mondo con elevate disuguaglianze in una fase della vita in cui i bisogni superano le capacità individuali delle persone. La stessa riduzione della spesa sanitaria rischia di essere un problema serissimo.

In Italia quantomeno non ci sono state proteste contro la riforma del lavoro come in Francia…

È pur vero che tra i giovani francesi l’insoddisfazione rispetto alle proposte di riforma del mercato del lavoro si sono manifestate con particolare forza. Il fatto però che in Italia questo non sia avvenuto non significa che il Jobs Act abbia funzionato bene.

Che cosa non ha funzionato secondo lei?

La curva di Beveridge prevede che l’occupazione aumenti semplicemente liberalizzando il mercato del lavoro. Chiunque abbia lavorato sa che anche prima dell’introduzione del Jobs Act nei fatti la mobilità del lavoro era altissima. Il Jobs Act ha definitivamente spazzato via qualunque alibi si potesse frapporre. Dopo la riforma ci si poteva attendere una spinta poderosa alla crescita. Ciò non è avvenuto, e questo dovrebbe far riflettere sulla possibilità che il Jobs Act abbia peggiorato la situazione anziché migliorarla. Anche ammesso che non l’abbia peggiorata, è evidente che ci sono altri problemi.

 

Quali?

Uno di questi è il fatto che l’Italia è un Paese vecchio che non riesce a valorizzare i suoi giovani. Non a caso molti emigrano all’estero, anche se non è detto che siano i migliori. Ma anche i “migliori” che rimangono in Italia non se la passano bene. Siamo comunque un Paese che sta scontando un’enormità di errori commessi in passato, che hanno creato una situazione demografica squilibrata. Questo stesso squilibrio riguarda anche Germania e Giappone.

 

Con quali conseguenze?

In Germania ci sono 4 milioni di persone in meno tra i 20 e i 39 anni e altrettanti mancano in Italia: sono 10 milioni di iPhone venduti in meno dalla Apple. Mi domando come si possa immaginare di crescere in una situazione del genere. La Germania continua a registrare il segno positivo grazie alle esportazioni perché ha i prodotti giusti che sono ambiti nei mercati asiatici. L’Italia con il suo tessuto di piccole e medie imprese può rientrare nella catena produttiva della Germania, ma non andare così massicciamente sui mercati come fanno i tedeschi.

 

Che cosa si aspetta per il futuro dell’Italia?

A oggi dal punto di vista dimensionale l’Italia è ancora un grande Paese, entro cinque-dieci anni nella migliore delle ipotesi diventeremo una boutique. In una boutique si va per acquistare prodotti di elevata qualità con brand di grande prestigio, anche se è un negozio di piccole dimensioni. L’Italia a poco a poco sta diventando un piccolo Paese. Se siamo bravi non ci impoveriremo, ma diventeremo pur sempre più piccoli.

 

(Pietro Vernizzi)





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