SPY FINANZA/ I guai che la Bce cerca di nascondere

- Mauro Bottarelli

Mentre la Banca centrale europea insiste sull'addendum relativo agli Npl, la vicenda di Steinhoff crea più di un problema per l'Eurotower. MAURO BOTTARELLI

nouy_daniele_lapresse Danièle Nouy (Lapresse)

Lascio ad altri il compito di informarvi sul Bitcoin e il suo approdo alla Borsa di Chicago: non perché non trovi il fenomeno interessante, anzi, ma perché l’approdo delle sue fluttuazioni folli di valutazione mi fanno pensare a un’unica cosa: la criptovaluta e il suo utilizzo saranno l’alibi perfetto per giustificare il botto in arrivo. Ne sono certo. E qualche conferma arriva indirettamente. «Il Bitcoin non è una valuta, ma un prodotto speculativo, per questo non si dovrebbe sovrastimare l’introduzione del future sulla moneta virtuale», ha affermato ieri il membro del board della Bce e governatore della Banca centrale austriaca, Ewald Nowotny, in un comunicato. Quindi, occhio. Ma dalla Banca centrale europea hanno detto anche altro, sempre ieri. «La Bce avrà bisogno di un mese o due per analizzare le risposte ricevute nell’ambito della consultazione sulle linee guida per i nuovi Npl ed è molto probabile che l’attuazione venga posticipata di alcuni mesi», ha reso noto la presidente del Consiglio di vigilanza dell’Eurotower, Daniele Nouy, in un’intervista alla rivista portoghese Publico, escludendo comunque l’ipotesi che l’attuazione del piano di addendum possa essere posticipato al 2019. «Non vedo alcuna ragione per un rinvio di un anno, tutto ciò di cui abbiamo bisogno è tempo sufficiente per tenere conto dei commenti sulla prima bozza. Non abbiamo bisogno di un anno per quello; abbiamo bisogno di qualche mese al massimo». 

La Nouy ha quindi osservato che per la Bce «non cambia molto se accade il primo gennaio, il primo aprile o il primo giugno. Ciò che importa è che le cose si stanno muovendo in questa direzione». Insomma, nessun dietro front sull’addendum, dopo la resa – almeno sulla tempistica – relativa alla classificazione dei titoli di Stato. Parla la Bce, parla tanto. E parla la lingua del manovratore, forte di un dato incontrovertibile: senza il Qe, l’Europa si sarebbe schiantata. L’Italia, di certo, occorre ammetterlo. Ma proprio perché soggetto dominante, l’Eurotower avrebbe anche l’obbligo della trasparenza. 

Ricorderete come la settimana scorsa vi abbia parlato del caso Steinhoff, il gigante sudafricano del retail che opera fra l’altro in Francia, Regno Unito e Usa, caduto in disgrazia mercoledì scorso dopo le dimissioni dell’amministratore delegato per una causa del 2015 presso una corte tedesca. Morale della favola, in caso di downgrade del rating, la Bce – che aveva comprato a luglio parte integrante dell’emissione obbligazionaria di Steinhoff con scadenza 2025 per 900 milioni di euro di controvalore – avrebbe scontato la prima perdita potenziale su acquisto di obbligazioni corporate legate al programma di Qe. Mercoledì scorso, quel bond crollò da 85 a 41 centesimi, un tonfo che non poteva che prefigurare un taglio mortale: detto fatto, il giorno dopo, Moody’s prese le forbici e segò letteralmente il rating di quattro notch, in pieno territorio non-investment grade (quindi fuori dal mandato statutario di acquisto Bce), «a causa di incertezze e implicazioni gravi per la liquidità e la struttura debitoria di capitale della società». Venerdì le perdite di Steinhoff si sono ovviamente ampliate e la Bce ha dovuto prendere atto di avere nel proprio bilancio un ammasso di immondizia che qualcuno, forse eccedendo in pessimismo, ha già definito Enron 2.0. Per il controvalore? No, per il crollo di credibilità che perdite reali sullo stato patrimoniale porterebbero non solo alla reputazione della Bce, ma alla sostenibilità e liceità del programma di acquisto obbligazionario corporate, quello che di fatto ha garantito alle aziende di mezza europea e a quelle extra-europee che operano nell’Ue attraverso sussidiarie estere di stare in piedi, visto che godono di finanziamento non bancario a tasso zero e senza riscontro di mark-to-market: la Bce compra tutto. A prescindere. Anche Steinhoff. Il problema è che il mercato se ne frega del silenzio dei giornali o degli stessi membri della Bce e va a vedere come stanno davvero le cose. 

Primo, l’implosione di Steinhoff avrebbe un immediato ricasco a livello globale, dove il conglomerato garantisce occupazione a 130mila persone. Secondo, il ministro delle Finanze sudafricano, Malusi Gigaba, ha detto chiaramente di essere conscio del fatto che molti fondi pensionistici e di accantonamento saranno colpiti dalle perdite di valore dei bond e ha già chiesto la preparazione di un report relativo all’estensione dell’esposizione. Terzo, non sarà solo la Bce a pagare un prezzo, se davvero come pare Steinhoff non ha futuro, se non quello del Chapter 11, ovvero i libri in tribunale. Sono infatti parecchie le banche Usa ed europee che rischiano di restare con il cerino in mano, in caso di evento di credito. Tanto è vero che venerdì Steinhoff ha rinviato un meeting con i creditori, inizialmente fissato per ieri, al 19 dicembre, citando ragioni legato alla pubblicazione dei dati di esercizio, ma tutti sanno che la ragione è un’altra: o le istituzioni compromesse ammettono davanti al mondo che stanno per salvare un’azienda privata insolvente, svelando in pieno lo schema Ponzi insito nel Qe oppure saranno tanto a fare i conti con obbligazioni pagate oro e che adesso valgono pressoché zero, almeno in nozionale. 

L’esposizione totale a Steinhoff era di 18 miliardi di euro alla fine dello scorso marzo, con Bloomberg che ieri ha confermato come le liabilities di lungo termine siano a 12,1 miliardi di euro e quelle a breve termine a 5,87 miliardi. Ma, attenzione, il continuo rinvio da parte di Steinhoff della pubblicazione dei dati finanziari relativi all’intero anno potrebbe portare con sé delle sorprese, una volta che il sipario si sarà alzato sulla situazione reale. E sorprese temo non piacevoli, soprattutto quelle legate alla reale accountability dell’emissione obbligazionaria del bond 2025 dello scorso luglio, proprio quella finita in pancia alla Bce con tanta avidigia. Ecco cosa ha dichiarato, nel silenzio totale dei media europei, Adrian Saville, Ceo della Cannon Asset Managers di Johannesburg ieri pomeriggio sempre a Bloomberg: «Ciò che di pericoloso è sconosciuto sono le strutture di finanziamento fuori bilancio, che potrebbero tramutarsi facilmente e rapidamente in liabilities nuove di zecca per le banche, oltre a quelle già potenzialmente presenti. Se l’azienda fallisce, il debito di breve termine potrebbe letteralmente precipitare». 

A livello globale, alcuni dei creditori privati di Steinhoff includono Citigroup, Bank of America, Hsbc e Bnp Paribas. Inoltre, l’esposizione è formata anche da quella diretta delle banche al presidente del gruppo, il miliardario Christo Wiese e i suoi veicoli di investimento: solo lo scorso anno, piazzò 628 milioni in azioni Steinhoff come collaterale per un finanziamento da Citigroup, Hsbc, Goldman Sachs Group Inc. e Nomura Holdings Incorporated, il tutto per finanziare – attraverso un oscuro concambio azionario – l’acquisizione delle catene Mattress Firm negli Usa e Poundland nel Regno Unito. Attualmente, il valore totale delle azioni è di 365 milioni di euro, quando solo un mese fa era di 2,2 miliardi di euro. 

E la Bce cosa dice? Nulla. Ma bacchetta, anzi minaccia apertamente, le banche soprattutto italiane per i loro Npl, certamente frutto in parte di pratiche da capitalismo di relazione ma anche di prestiti a un’economia reale che si è vista travolta dalla crisi. Venerdì scorso erano circolati rumors relativi alla volontà dell’Eurotower di vendere quei bond, peccato che da statuto Qe la Bce le obbligazioni possa solo comprarle e non venderle: almeno per ora e in caso non si arrivi all’ennesimo cambio emergenziale di regolamento. E, come vi dicevo nel primo articolo su Steinhoff, il nozionale della Bce relativo ad acquisti di bond di aziende traballanti è di 18 miliardi di euro, non noccioline. E parliamo solo dei 26 cosiddetti fallen angels, di cui si sa che l’Eurotower abbia comprato obbligazioni corporate in seno al Qe, nonostante stati patrimoniali e numeri operativi non certo entusiasmanti. 

Qual è il rischio, oltre a quello inestimabile a livello reputazionale? Che la Bce, dopo aver operato da hedge fund, si trovi a essere di fatto l’equity-holder post-ristrutturazione di una serie infinita di aziende europee fallite, decotte o in odore di bancarotta. Così, anche io posso fare l’imprenditore: piace vincere facile a molti capitani coraggiosi del capitalismo moderno. E la Bce, con il suo silenzio in merito, davvero si sente di andare moralmente avanti con le minacce relative all’addendum? Dopodomani è previsto il board e la conferenza stampa di Mario Draghi: chissà se menzionerà la faccenda. Di più, chissà se qualche “autorevole” collega di altrettanto “autorevoli” testate avrà il coraggio di chiederne conto, così come chiede conto continuamente del cattivo stato di salute delle banche italiane per le sofferenze.





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