SPY FINANZA/ Dietro il board Bce qualcuno scommette sulla paralisi italiana

- Mauro Bottarelli

Oggi Draghi svelerà le carte. E si vedrà se davvero la Bce riuscirà ancora a sostenere l'impalcatura di un sistema che si regge su denaro creato dal nulla. MAURO BOTTARELLI

europa_ue_commissione_bandiere_lapresse_2015 LaPresse

Ci siamo, oggi Mario Draghi svelerà le carte che ha in mano. E vedremo se sarà stato un bluff oppure se davvero la Bce riuscirà ancora a sostenere l’impalcatura di un sistema che si regge su denaro creato dal nulla, grazie a tassi di interessi ai minimi storici. Le emissioni di Bund tenutesi ieri hanno registrato un rendimento a -0,36%, livelli lunari ma che, stante la nuova realtà in cui viviamo, hanno fatto tirare un sospiro di sollievo ai ministero delle Finanze di Berlino, non poco preoccupato dall’aumento dello yield sulla propria carta seguito alla “vocina” che settimana scorsa anticipava la preoccupazione di sempre più membri del Consiglio direttivo dell’Eurotower per l’apprezzamento eccessivo dell’euro, ritenuto un potenziale freno alla crescita dell’eurozona. 

Già, l’euro forte. Ieri, quando i mercati sembravano ibernati tanta era l’attesa per le parole di Draghi, la moneta unica era ferma sul livello non proprio tranquillizzante di 1,19 sul dollaro, sintomo che in effetti un trend di overshoot è presente ed è tutto da ricondurre all’incertezza riguardo alla politica della Bce, più che alle rinnovate tensioni geopolitiche in atto, pantomima nordcoreana in testa. 

E come vi dicevo due giorni fa, la Germania non si è fatta attendere e ha risposto alla fuga di notizie che vorrebbe l’Eurotower pronta a spingere sul sentiero dell’indeterminatezza totale l’inizio del ritiro del programma di stimolo, il cosiddetto tapering. Ma lo ha fatto con scaltrezza, evitando di mettere in campo soggetti politici ufficiali come il ministero delle Finanze o la Bundesbank: ha lasciato che fosse Deutsche Bank a parlare al riguardo. Forte e chiaro. L’amministratore delegato del colosso del credito, John Cryan, infatti, non si è premurato di dissimulare il suo attacco ed è andato dritto al punto, parlando di fronte a una platea di banchieri riunita proprio a Francoforte: la Bce dia un taglio alle sue politiche espansive. Subito. Ecco le sue parole, musica per le orecchie di Wolfgang Schäuble e Jens Weidmann: “Stiamo vedendo sorgere segnali di bolle in sempre più parti del mercato di capitali, anche dove non ce le saremmo mai aspettate. Tutto questo è responsabilità della politica sui tassi di interessi, la quale è parzialmente responsabile per il calo degli utili delle banche europee. Ho recentemente dato il benvenuto all’annuncio della Federal Reserve e ora da parte della Bce riguardo l’intenzione di dar vita a un graduale ritiro delle politiche di stimolo, le quale stanno per arrivare alla fine”. 

Diciamo che quanto reso noto, ancorché in forma anonima ma non smentita dall’Eurotower, la scorsa settimana non parla proprio questa lingua, anzi: il super-euro è la nuova scusa perfetta per andare avanti a monetizzare debito europeo, soprattutto quello corporate che ormai campa di aspettative per un Qe senza fine o quasi. Ma Cryan non ha dubbi: “L’era del denaro a costo zero in Europa dovrebbe arrivare alla fine, questo nonostante un euro forte”. Parole di una pesantezza inusitata: non tanto perché contengano chissà quale concetto o minaccia ma perché chiaramente dettata dalla Bundesbank. 

Sorprese in sede di Consiglio quest’oggi? Lo escludo, i mercati andrebbero completamente fuori controllo, non fosse altro per il fatto che sono guidati da algoritmi. Ma Cryan va oltre nella critica a Draghi, di fatto contestandone l’intera impostazione e dipingendo invece la ricetta della Fed come la strada per il paradiso: “Le banche Usa stanno godendo di un vantaggio competitivo grazie al contesto dei tassi di interesse locale. Nella prima metà del 2017, solo l’interesse netto sul reddito delle banche americane è salito dell’8%, mentre in Europa è calato del 2%. Noi come Deutsche Bank abbiamo avuto accesso a 285 miliardi di euro di liquidità alla fine del secondo trimestre, questo perché stiamo ricevendo grandi inflows di cash. Questo denaro, che costituisce attualmente la nostra forza, ci sta però costando penalità sugli interessi”. Insomma, i tassi negativi non danno più noia solo alle casse di risparmio tedesche, le Landesbanken, ora cominciano a fare male anche al campione di casa, il quale detta legge dall’alto del suo curriculum di infrazioni e reati di mercato da Guinness dei primati. 

Ma che il giochino affidato a Cryan da Schäuble e Weidmann sia più ampio e basi la sua forza, paradossalmente, sulla più grande debolezza di Deutsche Bank, ovvero il ricatto sul portafoglio derivati, ce lo dimostra plasticamente la risposta che il CeO della banca tedesca ha dato a chi gli chiedeva conto sugli sviluppi a livello di assetto finanziario europeo dopo il Brexit: “C’è una sola città europea che può rispondere a tutte le esigenze degli operatori che lasceranno Londra ed è Francoforte con le sue autorità di supervisione, i suoi studi legali e di consulenza, oltre che il suo aeroporto internazionale. La scelta non è quindi tra Francoforte, Dublino e Parigi ma tra Francoforte, New York e Singapore. Il Brexit potrebbe tramutarsi in un enorme pacchetto di stimolo per l’economia di Francoforte”. 

Insomma, una bella agenda germanocentrica alla vigilia della più importante riunione del board Bce di sempre. Oltretutto, presentata pubblicamente e con una protervia senza precedenti dalla prima banca tedesca: la stessa, giova ricordarlo, che con la sua operatività sul nostro debito, nel 2011 diede il via all’operazione di regime change che portò a Palazzo Chigi il governo guidato da Mario Monti. Ovvero, la Troika in loden. Perché dico questo? Perché a capo della Bce c’è un italiano che molti vorrebbero candidato proprio alla guida di un governo di salute pubblica dal 2019, dopo che il voto del prossimo anno si tramuterà in un pantano di ingovernabilità. E, guarda caso, l’altro giorno la banca d’affari Usa più attiva sull’Italia, Citigroup, ha pubblicato un report dedicato proprio alle elezioni del prossimo anno: sapete qual è l’esito più auspicato e auspicabile? “Per il futuro dell’Italia meglio un Parlamento senza maggioranza, che non un governo di grandi ma non così grandi coalizioni o un esecutivo del Movimento 5 Stelle”. 

Su questo punto, Citigroup non ha dubbi: è convinta che, con un hung Parliament in stile britannico e un governo ad interim, le riforme possano passare più facilmente e il mercato azionario possa ripartire. Lo riferisce nero su bianco un report sul Paese datato 4 settembre: “Dopo venti anni nella Seconda Repubblica — si legge nelle 72 pagine di analisi realizzate dal team di Mauro Baragiola — l’Italia è in bilico sul ritorno al sistema proporzionale della Prima Repubblica. Mentre gli italiani speravano in una “Liberazione 3.0”, pensiamo che — rebus sic stantibus — il Paese potrebbe trarre maggior vantaggio da un parlamento paralizzato che non da governi a maggioranza debole come nel recente passato o dal ritorno ad una legge elettorale che favorisca la nascita di coalizioni di governo”. Troppe coincidenze, troppi déjà vu. Vediamo un po’ se oggi Mario Draghi dirà qualcosa in più. O nasconderà ancora le carte. 





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