SPY FINANZA/ Iran e Ucraina, le micce pericolose di una guerra Putin-Trump

- Mauro Bottarelli

Negli ultimi giorni si stanno succedendo fatti e dichiarazioni che sembrano aumentare le possibilità di uno scontro tra Usa e Russia, con l'Europa in mezzo. MAURO BOTTARELLI

guerra_nave_aereo_lapresse_2017 LaPresse

Ma come, un notorio sessista e misogino come Donald Trump nomina la prima donna a capo della Cia nella storia degli Usa e nemmeno un tweet di felicitazioni da parte di Laura Boldrini? Ma come, l’intelligence statunitense mette la gonna e nessuno che applauda e, ovviamente, auspichi che accada lo stesso in quel buco retrogrado di femminicidi chiamato Italia? Non c’è più religione. D’altronde, c’è da capirle le signore: per quanto una si sforzi, è dura passare sopra la macchia che grava sul curriculum di Gina Haspel. A parte il soprannome “Bloody”, sanguinaria (in un Paese dove il capo del Pentagono ha come nickname “cane pazzo” si passa sopra a quasi tutto, d’altronde), la nostra è accusata da più parti di aver autorizzato e coperto la pratica del water-boarding, ovvero quella tecnica di tortura/interrogatorio che prevede l’annegamento simulato del sospetto. Ora, io non ho fatto il militare a Cuneo, ma sono uomo di mondo e ho detto addio agli idealismi da tempo: quando hai a che fare con gente disposta a farsi esplodere in un mercato pieno di donne e bambini in nome di Allah, c’è poco da andare per il sottile. Se torturare serve a ottenere informazioni che possono salvare vite, cose sia. Almeno per quanto mi riguarda. Ma per le anime belle no, loro certe pratiche le trovano inaccettabili e barbare comunque: tanto barbare da non poter festeggiare nemmeno l’approdo di una donna a capo dell’intelligence Usa. 

Che disdetta, quella testarda della realtà ancora una volta ci dimostra due cose. Primo, le logiche da tutela del panda delle cosiddette “quote rose” non garantiscono certo l’attuazione del migliore dei mondi possibili. Secondo, l’assenza di pene non è requisito sufficiente per essere una persona ontologicamente perfetta. Ma d’altronde, cosa volete farci, viviamo in un mondo così, prendere o lasciare. Che dire dell’ultimo scandalo che vede i rapporti fra Londra e Mosca alle soglie della rottura assoluta? Sì, parlo proprio dell’avvelenamento con un agente nervino di una ex spia russa vendutasi all’MI6 britannico e della figlia a Salisbury, cittadina del sud dell’Inghilterra dove Sergej Skripal aveva trovato asilo otto anni fa e dove viveva appunto con la figlia, Yulia. La questione, ormai, non è più limitata ai rapporti bilaterali, già pessimi, fra Regno Unito e Russia, ma sta investendo con il passare delle ore i principali membri della Nato, Usa, Francia e Germania in testa (dell’Italia, come al solito, non c’è notizia, né menzione, ci limitiamo a fornire soldati alle missioni in giro per il mondo e a obbedir, tacendo). 

Tutti vogliono risposte chiare da Mosca riguardo un suo coinvolgimento nell’accaduto, pena già minacciata di ritorsioni: detto fatto, allo scadere delle 24 ore concesse da Londra a Mosca per discolparsi, Westminster ha annunciato l’espulsione di 23 diplomatici russi e la richiesta di convocazione d’urgenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Di più, casualmente martedì è saltato fuori un altro russo dal passato poco cristallino e legato all’oligarca Berezovsky, Nikolai Glushkov, trovato morto nel suo appartamento londinese. Una bella coincidenza temporale. E non solo, visto che Berezovsky (morto a sua volta nel 2013) era nemico giurato di Putin, tanto da portare Scotland Yard a riaprire le indagini su 14 casi sospetti legati a cittadini della ex Urss passati a miglior vita nel Regno Unito negli ultimi anni. Fino a ieri, a nessuno interessava nulla. Oggi, si investiga. 

D’altronde, come non credere che un uomo dal profilo poco in vista come Vladimir Putin non decida di far fuori con il gas nervino – una pistola pareva banale – una spia traditrice che lui stesso aveva graziato 8 anni fa, lasciando – a detta dei britannici – una scia di sospetti e prove tali da portare gli occhi di tutto il mondo a posarsi sul Cremlino? Era solo capo del Kgb, cosa volete che ne sappia il buon Vladimir di certe cose, per questo agisce da pasticcione. Ma è anche vendicativo: infatti, lascia vivere in pace e tranquillo un traditore per otto anni nel Regno Unito e nel momento di massima tensione fra il suo paese e l’Occidente ordina di farlo fuori con un agente chimico, quasi fosse un Assad qualsiasi e non il capo della Federazione Russa. Paese che, sempre casualmente, fra tre giorni andrà al voto, certo della vittoria del suo uomo forte e fra meno di quattro mesi ospiterà i mondiali di calcio, ora a rischio boicottaggio mondiale, se la crisi diplomatica con Londra non si placherà. 

Certo, il fatto che il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, abbia definito «uno show da circo» l’atto d’accusa contro Mosca tenuto lunedì a Westminster da Theresa May ha fatto arrabbiare e non poco Downing Street e il Foreign Office, ma i nervi rischiano di saltare, quando da mesi sei il capro espiatorio di qualsiasi nefandezza accada nel mondo, senza che le accuse che ti vengono mosse abbiano portato con sé un singolo riscontro. E poi, ragazzi, non male la performance britannica, soprattutto quella dell’intelligence: caso chiuso in 72 ore, è stata Mosca. Un bel passo avanti per gente che si è fatta fare attentati da terroristi di seconda generazione che conosceva e monitorava da tempo, praticamente sotto il naso e con qualsiasi tipo di dinamica: dall’attacco alla metro e all’uso di veicoli per schiacciare la folla, dall’arma bianca alla bomba artigianale fino all’attacco in grande stile al concerto a Manchester, atto che vide mezza intelligence brancolare nel buio, salvo arrestare in Libia tutta la famiglia dell’attentatore 24 ore dopo. 

In compenso, poi, riescono meglio altri tipi di investigazioni all’intelligence: ad esempio beccare al volo l’assassino razzista e di destra di Jo Cox o fermare il nazionalista che schiaccia musulmani davanti a una moschea di Londra, senza che il suo furgone riporti un singolo graffio o bozzo. Ah, parliamo della stessa intelligence cui si sono venduti i morti che qualcuno oggi attribuisce con certezza alla sete di vendetta postuma di Vladimir Putin: gente conosciuta dai servizi inglesi, gente pagata e coperta dai servizi inglesi. Gente che potrebbe non essere servita più ai servizi inglesi, magari. Quantomeno, da viva. 

E poi, come non levarsi il cappello di fronte alla coerenza della May, caso strano salvata in corner da questo scandalo, visto che altrimenti avrebbe dovuto offrire qualche spiegazione riguardo il flop delle trattative sul Brexit e, soprattutto, sul crollo del mercato immobiliare legato proprio a quell’impasse e di cui vi ho parlato mercoledì. La premier, infatti, non ha portato a conoscenza dell’opinione pubblica o della stampa una sola prova riguardo il coinvolgimento russo, se non trincerarsi dietro un laconico «è quasi certo che sia responsabilità di Mosca», ma, in compenso, chiede ai russi di discolparsi, con prove, entro 24 ore, lanciando cioè anche degli ultimatum. 

E qui, attenzione, perché i nostri media si sono dimenticati di menzionare qualcosa. Ovvero, la risposta che la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha offerto alle accuse giunte da Westminster: «Invitiamo la controparte britannica a considerare le conseguenze di una mossa così sfrontata… Uno non impone un avviso di 24 ore a una potenza nucleare. Il caso dell’avvelenamento di Skripal non è stato un incidente ma una colossale provocazione internazionale». E, tanto per gradire, ecco il tweet di martedì pomeriggio dell’ambasciata russa a Londra: «Ogni minaccia di adozione di misure punitive contro la Russia, troverà una risposta. I britannici devono essere consci di questo». 

Insomma, verrebbe da dire che stiamo vivendo una vicenda kafkiana, una sciarada completamente surreale e grottesca, degna di Arthur Schnitzler, persino troppo anche per un mondo come il nostro, fatto di passaporti trovati accanto agli attentatori o di Paesi come l’Arabia Saudita nel consiglio delle Nazioni Uniti per i Diritti umani. Ma non è così. Stavolta, si sta davvero rischiando di infrangere la linea rossa, di superare il limite invalicabile. Perché il problema non è aver fatto fuori il capo del Dipartimento di Stato Usa con un tweet, ormai siamo abituati a certe bizzarrie ma aver messo al suo posto uno come l’ex capo della Cia, Mike Pompeo, neo-con duro e puro del Tea Party e con il pallino della Cina come nemico numero uno degli Usa (salvo quando li tengono a galla, comprando quella carta da parati che è ormai il loro debito). Sapete perché Rex Tillerson è stato fatto fuori? Non per l’affaire Corea del Nord che Trump vuole gestire in solitaria, non per la figuraccia siriana, non per i dubbi sulla credibilità e la consistenza del Russiagate o quelli ancora maggiori sull’imposizione di dazi commerciali, bensì sull’accordo nucleare iraniano: l’ex capo della diplomazia Usa lo ha sempre difeso, mettendo in guardia la Casa Bianca dalle sirene dei “falchi” che ne chiedevano lo stralcio, non fosse altro per la profonda motivazione in base alla quale, un qualcosa fatto da Obama e dalla Clinton doveva essere ontologicamente sbagliato. 

Domenica scorsa, alla Casa Bianca era ospite il premier israeliano, Bibi Nethanyahu e sapete cos’ha risposto ai cronisti, uscendo dalla residenza presidenziale, a chi gli chiedesse di cosa avessero parlato con Trump per tutto quel tempo? «Iran, Iran, Iran!, il tutto con un sorriso da pubblicità della Durbans. Et voilà, pochi giorni e Tillerson, responsabile della politica estera e difensore dell’accordo con Teheran, salta come un tappo di champagne a Capodanno, licenziato come una colf con un tweet. E chi arriva? Una sorta di Rambo che fino a ieri ha gestito l’agenzia federale che si è fatta fare più attentati sotto il naso al mondo, ma che, contemporaneamente, potrebbe davvero insegnare ai russi come si destabilizzano le politiche e i governi di Stati esteri. Il tutto con la Siria che pare pronta a esplodere del tutto, visto che a Est Goutha l’esercito di Assad ha stretto d’assedio i terroristi “moderati” e potrebbe chiudere la partita in tempi brevi. Proprio la Russia ha garantito salva la vita e un salvacondotto per i miliziani che si arrendono e le loro famiglie, ma questo presuppone uomini vivi che lasciano il campo: e se prima di farlo, vuotassero il sacco su chi li ha foraggiati, armati, pagati, sostenuti e addestrati per anni in chiave anti-regime di Damasco? 

Che figuraccia globale per Usa, Gran Bretagna e Israele, oltre che per i cosiddetti Paesi arabi della cosiddetta alleanza anti-Isis, vedi in primis l’Arabia Saudita! Oggi, invece, abbiamo la scusa pronta: la Russia avvelena con il gas nervino le ex spie che vivono in Europa, ponendo a rischio la vita dei cittadini. Gli stessi cittadini che hanno continuato a vivere come se niente fosse, visto che governo e anti-terrorismo ci hanno messo quattro giorni a diramare un appello a lavare bene i vestiti e a inviare in forze i nuclei batteriologici a Salisbury: parliamo degli stessi soggetti che sono certi del coinvolgimento russo, ovviamente senza mostrare prove al riguardo. Proprio sicuri che la pazienza di Vladimir Putin possa essere eterna? Proprio sicuri di essere sempre dalla parte della ragione, solo perché sopra le nostre teste sventola la bandiera azzurra della Nato? 

Ragionate un attimo: persino il Comitato intelligence della Camera Usa ha dovuto ammettere che non esiste mezza prova del coinvolgimento russo nelle presidenziali del 2016 e non credo che si tratti di un organismo infiltrato in toto da pericolosi bolscevichi. Casualmente, poi, dopo aver ottenuto munizionamento leggero prima e missili anti-carro poi, ecco che dall’altro giorno l’Ucraina gode ufficialmente dello status di Paese aspirante membro della Nato, come Macedonia, Georgia e Bosnia-Herzegovina. E sempre casualmente, nonostante la crisi economica e l’aiuto da polmone d’acciaio del Fmi, già oggi Kiev spende più del 2% del Pil in stanziamenti alla difesa (indovinate chi vende loro le armi?), esattamente ciò che Donald Trump chiede da sempre ai partner europei riluttanti (e che ora ha posto come conditio sine qua non per evitare i dazi): che bravi ragazzi, questi ucraini. E cosa ha detto l’altro giorno Vladimir Putin? «Non ridarò mai la Crimea all’Ucraina». Ora, la provocazione dello status Nato e l’affaire spie avvelenate. Che coincidenze a pochi giorni dalle presidenziali e a pochi mesi dai mondiali di calcio, non vi pare? 

E attenti, perché lo status di Paese aspirante garantisce all’Ucraina la protezione de facto dell’articolo 5 della Nato: ovvero, colpire un Paese dell’Alleanza equivale a colpire l’intera alleanza. Dopo il gas nervino, false flag in vista? Lo ripeto, attenti a scherzare troppo con la pazienza del Cremlino. E a pensare che fare la guerra all’Iran, anche solo diplomatica ed economica (stralciare l’accordo sul nucleare significa infatti bloccare l’export di greggio di Teheran, togliendo dal mercato 500mila barili di output al giorno) sia una passeggiata senza pericoli, né conseguenze. 





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