RIPRESA?/ La catena Cina-Germania può spezzare l’Italia

- int. Luigi Campiglio

Per LUIGI CAMPIGLIO, il rallentamento della Cina va a riflettersi i sull’anomala esposizione verso l’estero della Germania, che a sua volta ha un legame molto forte con l’industria italiana

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«Il rallentamento della Cina va a riflettersi in modo diretto o indiretto sull’anomala esposizione verso l’estero della Germania. Berlino a sua volta ha un legame molto forte con l’industria del Nord Italia. Questo rimbalzo a catena fa sì che le previsioni sulla crescita dell’economia italiana per il 2016 realisticamente vadano ridimensionate». È l’analisi di Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dopo che l’Istat ha pubblicato i dati su fatturato e ordinativi dell’industria riferiti allo scorso mese di dicembre. Tra novembre e dicembre 2015 il fatturato dell’industria registra un -1,6%, con un -1,7% sul mercato interno e un -1,4% su quello estero. Tra dicembre 2014 e dicembre 2015 la diminuzione è invece del 3%, con un -2,7% sul mercato interno e un -3,2% su quello estero. Gli ordinativi segnano invece una diminuzione congiunturale del 2,8%.

Professore, i dati Istat su fatturato e ordinativi devono preoccuparci o sono soltanto la conseguenza dell’andamento del mercato energetico?

Dobbiamo muoverci con grande cautela e attenzione. Questi sono dati che confermano in modo più approfondito l’indebolimento della dinamica dell’economia nell’ultimo trimestre del 2015, peraltro in linea con la revisione al ribasso delle previsioni sulla crescita del Pil. Tra gli aspetti a cui prestare più attenzione, c’è il fatturato interno che diminuisce sia tra dicembre 2014 e dicembre 2015 sia tra novembre e dicembre 2015. Nel corso dell’intero 2015 il fatturato sul mercato estero aumenta dell’1,2%, ma facendo la media con il mercato interno il risultato è solamente un +0,2%.

Da che cosa sono influenzati i dati negativi sul fatturato?

Questi sono dati che risentono dell’improvvisa dinamica di cautela da parte di investitori e risparmiatori nell’ultima fase dell’anno. Da novembre in poi, con l’accentuarsi della volatilità e dell’instabilità del quadro internazionale, anche i comportamenti dei consumatori sono diventati più cauti e attenti. Come confermano questi dati, i consumi interni non sono cresciuti quanto avremmo voluto.

Alla luce di questi dati, quali sono le prospettive per il 2016?

Ci sono alcuni elementi di fondo da cui non si può prescindere. Il primo è il rallentamento dell’economia mondiale, legato soprattutto alla Cina. Il rallentamento della Cina va a riflettersi in modo diretto o indiretto sull’anomala esposizione verso l’estero della Germania. In Germania il rapporto tra esportazioni e prodotto interno lordo ormai ha raggiunto il 50%: è quindi un Paese molto esposto sull’estero. Lo stesso rallentamento economico che causa problemi marginali negli Stati Uniti, nel caso della Germania determina una situazione più complicata.

Le difficoltà di Berlino influenzano a loro volta la nostra economia?

Sì, perché la Germania a sua volta ha un legame molto forte con l’industria del Nord Italia. Questo rimbalzo a catena è un elemento primario di cautela sulle previsioni per l’anno prossimo. Temo che le previsioni di qualche mese fa realisticamente vadano ridimensionate.

Se Pil e fatturato restassero a questi livelli, c’è il rischio che saltino i parametri sui conti pubblici dell’Italia?

Saltare è una parola forte, ma certamente questi parametri potrebbero essere messi in difficoltà se riprendesse la volatilità che si è manifestata dall’inizio dell’anno. Ormai anche dal lato dell’investimento finanziario il 2016 non si prefigura come un anno positivo. Da un lato è pur vero che l’investimento finanziario non è quello reale, e l’Italia per migliorare l’occupazione guarda soprattutto a quello reale. Il punto è che alla fine tra le due grandezze esiste una relazione: la volatilità e l’incertezza fanno male all’economia.

 

Come si esce da questa incertezza?

L’Italia ha bisogno di una crescita degli investimenti pubblici. Se i vincoli di bilancio di Bruxelles dovessero risultare stringenti, la Germania dovrebbe essere stimolata, se non a fare gli interessi dell’Europa, almeno a fare i propri. L’economia tedesca ha anch’essa bisogno di investimenti, soprattutto infrastrutturali.

 

A beneficiarne sarebbe soltanto la Germania?

No. Se Berlino si decidesse a mobilizzare la sua capacità di investimento all’interno, l’effetto sull’economia italiana ed europea sarebbe significativo. Se a questo si aggiungesse un qualche stimolo interno da parte dell’Italia, tutto questo servirebbe non solo a migliorare la qualità del Paese, ma anche a consentire di superare quel +1% del Pil che ci potrebbe portare in zona sicurezza.

 

(Pietro Vernizzi)





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