SCENARIO/ Binetti: noi cattolici traditi da Bersani che ha sposato i Radicali

- int. Paola Binetti

Il passaggio di Paola Binetti dal Partito Democratico all’Udc ha aperto un dibattito tra il segretario del Pd e il quotidiano cattolico Avvenire. PAOLA BINETTI ha chiarito le ragioni politiche della sua scelta e i termini del dibattito a ilsussidiario.net    

BinettiPaola_R375

Il passaggio di Paola Binetti dal Partito Democratico all’Udc ha aperto un dibattito tra il segretario del Pd e il quotidiano cattolico Avvenire. Pier Luigi Bersani ha voluto rispondere a Sergio Soave che, da quelle colonne, aveva sottolineato il grave atteggiamento di freddezza, e soddisfazione, con cui il Pd ha accolto questa sofferta decisione della deputata cattolica. Un campanello d’allarme da non sottovalutare per un partito nato dalla fusione tra l’anima cattolica e quella appartenente alla sinistra del nostro Paese.

«La costruzione del Pd – ha precisato Bersani – pretende uno sforzo di convergenza. Le culture all’interno del partito non possono infatti vivere da separate in casa. Chi crede che sia un lavoro impossibile dovrà ricredersi». Paola Binetti ha chiarito le ragioni politiche della sua scelta e i termini del dibattito a ilsussidiario.net.

Il fatto che, come sottolinea il segretario del Pd, presidente, vicesegretario e capogruppo alla Camera del partito siano esponenti cattolici non è in contraddizione con la “deriva zapaterista” di cui lei parla? O si tratta di ruoli di facciata che servono a coprire un problema profondo?  

Bersani non ha capito che il problema non è questo. Il ruolo di Enrico Letta, il fatto che Fioroni sia responsabile del Welfare e Bobba della Sussidiarietà non risolve il problema, che è innanzitutto culturale. Al di là delle cariche i valori cattolici non incidono sul dibattito parlamentare del Pd e sulle proposte di legge.
Vorrei anche chiarire che il nodo del problema non è personale, dato che Bersani si è dimostrato a livello umano assolutamente comprensivo e corretto.

Com’è giunta allora a questa decisione?

 
Finché c’è stato un dibattito interno al Pd, seppur nella complessità e nella fatica intrinseca di trovare una sintesi tra la cultura radicata nei valori cristiani e quella che si richiama ai valori della sinistra, mi è sembrato che si potesse andare avanti. Non sono mai mancati momenti di difficoltà personale per la posizione assunta dal mio partito su determinati temi, ma ho sempre creduto in questo progetto politico. A un certo punto però, a livello dei vertici, c’è stata l’irruzione di scelte tattico-strategiche che hanno portato a una virata rapida dal Pd, senza nemmeno il tempo di una serena riflessione.

Cosa intende?

Il Pd si è consegnato ai Radicali, alla Bonino nel Lazio, ma non solo. Questa opzione non era assolutamente nei patti e ha reso incompatibile la mia permanenza. Per questo ho capito che avrei rappresentato con più coerenza le mie convinzioni entrando nell’Udc.

Questa virata ha coinciso con l’elezione di Bersani alla segreteria del partito?

Forse è ingiusto dire così, anche se era nell’aria. Ha influito maggiormente il cambiamento della strategia radicale. Dopo anni in cui hanno privilegiato le elezioni nazionali e europee ora i Radicali puntano con forza alle Regionali. Il disegno è chiaro:  modificare per via amministrativa le politiche della famiglia e della vita. Il Pd avrebbe dovuto reagire in modo più chiaro e garantista, anche per rispetto alla propria Carta dei valori e al proprio Statuto.

La sintesi a questo punto è impossibile?

La sintesi nuova di cui parla Bersani è totalmente diversa da quella originaria che aveva due punti di riferimento chiari. Tra quelle due culture oggi si innesta come un cuneo quella radicale. Di conseguenza ciò che era difficile diviene impossibile.

La pensano così anche quegli esponenti cattolici che sono rimasti all’interno del Partito Democratico?

I cattolici del Pd non sono pochi, come qualcuno pensa. Il fatto è che si sono abituati a subire. Non è il coraggio che gli manca, ciò che spesso li porta a tacere è un equivoco di fondo sul concetto di dialogo. La prospettiva del dialogo ai loro occhi si configura nella dimensione del sacrificio e della tendenza a mettere da parte le proprie convinzioni. Il dialogo è invece il coraggio della chiarezza, non la rinuncia. A mio parere comunque, i cattolici oggi non possono più assistere in silenzio sperando che si mantenga lo status quo.

A cosa si riferisce?

 

L’attendismo di chi pensa che non facendo nulla non succeda nulla, non paga, dato che ogni volta che ci si distrae si verifica uno “smottamento”. I cattolici impegnati in politica dovrebbero dedicare lo stesso impegno che viene speso in difesa del territorio e del patrimonio ai valori della vita. Il Paese, al di là delle appartenenze politiche, ha bisogno di cattolici coerenti ai principi della loro fede e di laici che diano dimostrazione del loro liberalismo rispettando le posizioni degli altri.

Come si conciliano queste sue tesi con l’appoggio del suo nuovo partito a Mercedes Bresso in Piemonte?

A questo proposito ho delle perplessità. Bisogna però riconoscere che la Bresso non è una radicale e ha dimostrato sul campo grande competenza amministrativa. Il lavoro dell’Udc e dell’Api di Rutelli ha poi permesso di modificare il programma della Bresso rendendolo decisamente migliore rispetto a quello originale.
Il fatto che Silvio Viale non si sia candidato in Piemonte dimostra inoltre che in quella regione la componente radicale è stata contenuta, per non dire sterilizzata.

Ha ragione chi vede nell’uscita dei cattolici del Pd solo un riposizionamento di pedine alla luce di un “ripescamento dall’esterno”? L’Udc secondo questa analisi sarebbe infatti destinato all’alleanza organica con il Pd…
 
Il mio sogno è decisamente un altro, è evidente: costruire un partito unendo, come dice Francesco Rutelli, il meglio della destra con il meglio della sinistra.

La prospettiva è quindi il superamento il bipolarismo?

Se raggiungeremo questo  obiettivo vorrà dire che avremo lavorato bene in questi anni. Ecco perché è necessaria l’alleanza l’Api di Rutelli. Il partito che abbiamo in mente dovrà essere una forza a esplicita vocazione maggioritaria.

Sbaglia allora chi considera l’Udc "la nuova Margherita"?

Io vengo dalla Margherita, ne ho rispetto e anche un po’ di nostalgia. Ora però è tempo di costruire un grande partito nazionale capace di unire la riflessione etico-antropologica della destra all’attenzione sociale della sinistra. Un progetto in cui vorrei al nostro fianco Castagnetti, Fioroni, Merlo e esponenti del centrodestra come Pianetta, Castellani, Di Virgilio.

La politica dei due forni non porta in sé alcune contraddizioni? Per quali ragioni il suo nuovo partito appoggia il Pdl nel Lazio e non in Lombardia e Veneto o sostiene il Pd in Piemonte e non in Puglia? 

 

La distanza dell’Udc dalle posizioni della Lega ha inciso sulle alleanze al Nord in regioni come la Lombardia di Formigoni, il Veneto o il Piemonte. Se guarda bene la mappa però vedrà che l’Udc non ha portato avanti la politica dei due forni: i forni sono tre. Laddove l’Udc sceglie di andare da sola apre la strada, in prospettiva, più importante.

L’Udc secondo lei è quindi l’unico partito in grado di rappresentare il voto cattolico?

Fortunatamente no. In molte casi il voto cattolico può indirizzarsi tranquillamente al Pd e al Pdl, basta che alla testa di uno schieramento non ci sia chi da 40 anni porta avanti posizioni esplicitamente anticristiane e anticattoliche.





© RIPRODUZIONE RISERVATA

I commenti dei lettori

Ultime notizie

Ultime notizie