VOTO/ 2. Binetti (Udc): le ragioni del mio no a Berlusconi

- Paola Binetti

Il termine berlusconismo è diventato sinonimo della girandola di parole, di promesse, di emozioni e di sensazioni con cui si cerca di ubriacare quanta più gente possibile, scrive PAOLA BINETTI

CasiniBinettiR400 L'On. Paola Binetti con Pier Ferdinando Casini

Si sa quasi tutto sull’intervento che Berlusconi farà oggi nell’Aula del Parlamento… Si conoscono bene i 5 punti, su cui il capo del Governo vuole scommettere per la durata della legislatura: giustizia e sicurezza, federalismo, fisco e mezzogiorno. Ogni punto costituisce un mondo di problemi e di aspettative, di speranze e di timori, c’è di tutto un po’, con l’antica magia di chi crede che basti parlare delle cose perché si possa realizzarle. Parla a giovani e meno giovani, alle famiglie e alle imprese, ai fedelissimi della PdL, ai dubbiosi di Futuro e libertà e a tutti i nuovi arrivati, che in questi ultimi giorni sono confluiti da soli o in piccolo gruppo, per portare il loro sostegno al governo, per assicurarne la stabilità nei prossimi anni e giungere così alla fine naturale della legislatura. Ci sono state ampissime anticipazioni, in caso di fiducia si sa chi voterebbe a favore e chi no.

Molti giornalisti si sono dedicati alla conta minuziosa, con un unico grande obiettivo: riuscirà Berlusconi ad avere 316 sì, escludendo i finiani, che possono sempre sommarsi ai 316 per dare a questa maggioranza in visibile affanno l’aiuto promesso ad inizio legislatura? Eppure il parere dei più esperti, di coloro che la politica la vivono da anni, che sono passati tra crisi di ogni tipo, riuscendo di volta in volta a sopravvivere e a riadattarsi alle mutate circostanze politiche è che non succederà nulla, nulla di nulla. Che si sia trattato in realtà di una bolla mediatica, dentro la quale non c’è nulla e dalla quale non si potrà ricavare nulla di nuovo. Un bluff politico, come una sorta di megadistrattore, per evitare di doversi misurare con le difficoltà reali del paese, quelle di cui soffrono le famiglie, i giovani in cerca di lavoro, gli anziani e i disabili a cui sono stati vistosamente tagliati i fondi del welfare sociale, gli studenti di ogni ordine e grado che affrontano l’inizio dell’anno in pesante carenza di mezzi e di risorse umane…

 

 

Si sono riempite pagine e pagine dei giornali, si sono spese ore di telegiornali, si sono scontrati leader di ogni tipo nei talk show televisivi, ma non accadrà nulla perché i problemi del paese non si risolvono con le chiacchiere o con le promesse in libertà. Per quanto seduttivo possa essere l’intervento del presidente Berlusconi, per quanto possa riuscire a mobilitare emozioni di ogni genere, dall’entusiasmo allo sdegno, dalla compiacenza alla noia, nulla di ciò che dirà cambierà le sorti del Paese, perché il suo non è stato il Governo del fare, ma il governo del girare a vuoto intorno ai problemi, senza mai affrontarli con la concretezza che meritavano e senza mai assumere decisioni che guardassero davvero alla tutela delle famiglie, dei giovani, dei tanti lavoratori precari… Riforme zero, a costo zero, con ricaduta zero per quanto riguarda il benessere del paese.

In questo clima è facile per chi sta all’opposizione dire voterò no, anche senza sapere su che cosa saremo sollecitati a votare domani. Il no è alla tattica mediatica di chi crede che basti offrire alla immaginazione e alla fantasia degli italiani un mondo virtuale per soddisfare in modo reale i loro problemi. Le parole non sono sufficienti per invertire la rotta di una crisi economica, che nonostante sia stata più volte negata, è di fatto l’invitato di pietra che presidia tutti i dibattiti politici e che siede ogni giorno alla tavola di tutti gli italiani. Il no che dirò, che diremo in tanti, è anche un no a questo modo di affrontare la vita politica che ha trasformato il bipolarismo interno ad ognuno dei poli in un ring, in cui vanno a tappeto amicizie e impegni reciproci, lealtà e senso di responsabilità, mentre il paese appare sempre più frastornato.

 

 

 

E’ un no che dovrebbe trascinare con sé una autentica volontà di ricominciare daccapo, mutando almeno alcune delle condizioni politico-economiche che minacciano di trascinare il paese sempre più in basso, impoverendolo non solo sul piano finanziario ma anche e soprattutto sul piano morale. La vera sfida lanciata con questo appuntamento, di cui si parla con insistenza da mesi e che a volte ha assunto aspetti addirittura grotteschi, è quella che riguarda il post-berlusconismo, non nel senso che Berlusconi non ci sarà più, ma nel senso che cambia radicalmente uno stile e un modo di fare politica. Si abbandona la politica virtuale, tutta giocata su scenari di fantapolitica, per tornare al realismo della politica che va al cuore dei problemi, cercando di realizzare con fatica, ma con fermezza quel bene comune che comincia proprio dalle classi sociali più fragili e in difficoltà. Il termine berlusconismo è diventato sinonimo della girandola di parole, di promesse, di emozioni e di sensazioni con cui si cerca di ubriacare quanta più gente possibile, per ottenerne il voto e blandirla con promesse di un tempo che verrà.

Il post-berlusconismo che vorremmo cominciasse da domani, comunque vadano le cose in aula, dal momento che è fin troppo evidente che avrà comunque la sua maggioranza, riguarda proprio il nuovo stile della politica e non c’è dubbio che su disegni di legge concreti e costruttivi il mio voto, e non solo mio se penso a tutto il gruppo dell’Unione di Centro, sarà sempre a favore di ciò che di fatto costituisce un servizio concreto ai bisogni dei cittadini. Il berlusconismo come modo di far politica ha creato nel paese una serie di difficoltà non indifferenti che si possono sintetizzare in tre punti che hanno una forte rilevanza anche sotto il profilo etico: la violenza del dibattito politico, sempre ai margini del conflitto aperto e della contraddizione permanente; il macro-gap che separa fatti concreti e promesse elettorali; la sistematica mancanza di autocritica che non dà mai ragione dei risultati non conseguiti e si limita a rilanciarli di volta in volta come se ogni volta si trattasse della prima volta…

 

 

 

Non a caso nella prolusione che il Cardinal Bagnasco ha pronunciato ieri davanti alla Conferenza episcopale italiana parlando di politica ha voluto dettare un criterio fondamentale «per una onesta valutazione dell’agire politico: la capacità di individuare le obiettive esigenze delle persone e delle comunità, di analizzarle e di corrispondervi con la gradualità e nei tempi compatibili. È, in altre parole, il criterio della reale efficacia di ogni azione politica rispetto ai problemi concreti del Paese». Occorre dire basta alla politica delle illusioni, che inevitabilmente si traduce in una politica delle delusioni. E il discorso di Bagnasco continua dicendo: «Occorre, inoltre, che chiunque accetta di assumere un mandato politico sia consapevole della misura e della sobrietà, della disciplina e dell’onore che esso comporta, come anche la nostra Costituzione ricorda (cfr art. 54)». Il richiamo alla sobrietà e al senso di disciplina che si richiedono a chi fa politica va accompagnato anche alla consapevolezza dell’onore che comporta e che richiede una grande dignità nello svolgere il proprio ruolo con la necessaria competenza che implica comunque e sempre un forte senso della realtà.

Oggi come oggi sembra che nel nostro paese ci siano pochi ruoli che godono di un prestigio inferiore a quello che si riserva ai politici, a cui si attribuiscono tutte le colpe e le responsabilità per questa stagnazione morale e imprenditoriale, sociale e culturale che stiamo vivendo. Difficile capire quando, come e perché la politica sia caduta così in basso nell’opinione pubblica, arrivando a perdere quasi completamente la fiducia dei cittadini e diventando l’organo bersaglio di tutti i mali del paese. Ma è urgente invertire la rotta e ricominciare a fare politica in altro modo, soprattutto se si è cattolici impegnati in politica…

 

 

 

 

Il passaggio successivo del discorso di Bagnasco è un invito accorato ai politici e dice sostanzialmente: «E invitiamo tutti – singoli, gruppi, istituzioni − a guardare avanti, a far tesoro dell’esperienza con una capacità di autocritica che sia in grado di superare un clima di tensione diffusa e di contrapposizione permanente che fa solo male alla società. È urgente e necessario per tutti e per ciascuno guadagnare in serenità. Questo oggi il Paese domanda con più insistenza». E ancora questo è uno dei motivi per dire un no sempre più convinto ad una politica della tensione diffusa, a cui indubbiamente Bossi dà un forte e pesante contributo in termini di violenza verbale gratuita. Non si può essere complici di questo modo di far politica e il mio No è anche un No a questo approccio, che sta dilagando al punto da diventare sistemico. Il cambiamento di cui il Paese ha bisogno, anche rispetto ad alcune vicende attuali, richiede oggi recupero del rispetto reciproco, rilancio di un clima di serenità.

Dire sì a questa politica significherebbe diventare complici di questo modo assurdo di impostare le relazioni interpersonali in politica e nella società civile. Infine, e per concludere, il No va anche in piena sintonia con altre parole di Bagnasco, a cui lui stesso riconosce un forte valore sul piano etico: «La stessa memoria degli impegni solennemente assunti da ogni forza politica al momento del voto, si pone per noi su quel livello della pertinenza etica che è intrinseco ad una partecipazione vitale di tutti i cittadini alla costruzione della polis». Ci pensi domani Berlusconi e ne tenga conto nel momento in cui farà il suo discorso, perché se domani saremo ancora una volta all’opposizione, sui fatti concreti l’accordo è possibile e a volte dovuto, quando la Politica recupera la sua dignità di servizio.
 







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