L'educazione civica scuola continua a costituire un punto di domanda, per lo più una scatola vuota che non si sa come riempire. Ecco una traccia
La vita negli ultimi anni ha rivoluzionato il nostro buon senso. Ha messo in luce tutta la nostra strutturale fragilità. Pensavamo che le epidemie fossero un fatto del passato, riguardante i Paesi poveri. Il Covid-19 ha invece messo a nudo la fragilità dei nostri sistemi sanitari.
Proprio quando ritenevamo che nessuna guerra avrebbe più funestato l’Europa, l’invasione dell’Ucraina ha distrutto le nostre convinzioni.
Credevamo, poi, che il terrorismo fosse un fatto da lupi solitari o da piccole bande contro stazioni, aeroporti o altre infrastrutture. Abbiamo assistito, invece, il 7 ottobre 2023 all’eccidio da parte di un esercito di terroristi (aiutato da potenze straniere) contro migliaia di civili israeliani. Poi la risposta all’azione sanguinaria prolungata, cruenta e, purtroppo, senza fine che ha colpito non solo Hamas, ma soprattutto la popolazione civile.
Nel frattempo, il succedersi di azioni complessive di diversi attori internazionali che negano le norme del diritto umanitario e dei diritti umani.
Che significato hanno tali problemi per tutti e per il mondo della scuola?
Bisogna rilevare, innanzitutto, che le grandi sfide storiche in atto sono poste a generazioni finite, già da tempo, nella trappola del narcisismo e del nichilismo gaio. Vita comoda, partecipazione politica nulla, individualismo, socialità chiusa nei social. In tempi come questi, cosa significa, allora, fare scuola? Come fare scuola?
Bisogna partire dall’io. Non un io qualsiasi, però. Ma quello di un uomo in azione che c’è e comunica una vita diversa dentro una storia drammatica.
Ne abbiamo visti tanti nella durezza dei tempi. Tutti ricordiamo la commovente foto dell’infermiera di Cremona stremata dalla fatica per la massacrante lotta contro il Covid. Pochi conoscono la storia di don Giuseppe, sacerdote di Casnigo, che donò il suo respiratore a un malato di Covid più giovane. E che dire dei medici che non hanno disertato il loro posto per il nostro bene?
Persone in movimento con la loro debolezza e nonostante la loro fragilità, perciò vere.
Oggi, nelle guerre, invece, vediamo di tutto: chi gioca con le vite degli altri, chi guadagna soldi con la morte altrui e chi perde la sua giovinezza per proteggere gli altri.
E ancora nei diversi fronti e nelle diverse crisi: giocatori di poker, uomini costretti a diventare pedine sacrificabili e, ancora, persone con un’umanità dedite al bene.
Insomma, la vita che ha sconvolto i nostri limitati criteri del già previsto chiede un passo nuovo. Non basta il rispetto delle regole o fare il proprio minimo sindacale: ci vuole un “di più”.
La scuola, perciò, non può pensare solo ad avere “buoni cittadini”: non è sufficiente. Un civis romanus medio, infatti, avrebbe accettato con obbedienza la messa a morte di Gesù. Il rispetto dell’autorità era infatti necessario alla tenuta stessa dell’impero. Un cittadino romano più colto e politicamente scaltro avrebbe giustificato l’iniquità della crocifissione come necessaria ragione di stato. Insomma, ecco il punto: si è prima uomini, poi cittadini, necessariamente, con un giudizio critico.
La scuola ha perciò come compito di fare emergere le esigenze profonde dell’umanità dei ragazzi. I nostri alunni sono chiusi nei bunker di TikTok e dei piccoli gruppi di pari.
Possono uscire fuori dal guscio solo se sollecitati da una poesia profondamente amata da chi la propone, o se accompagnati in un percorso di conoscenza in cui imparano a essere protagonisti, o se provocati a un impegno di solidarietà e verità in cui è coinvolto il docente con loro.
In questi tempi contrassegnati da prepotenze dei capi, emergenze umanitarie e crisi di ideali, è inoltre importante educare al pensiero critico. L’aiuto a giudicare la realtà con intelligenza impedisce il “va tutto bene” che ha contrassegnato il tempo precedente alla fine delle illusioni.
L’ultimo elemento necessario alla scuola, infine, è il “pedalare”, cioè la fatica. La fatica implica la “quantità” a cui si cerca di sfuggire (ore di studio, ore per imparare un mestiere).
Ma è la quantità che permette di raggiungere gli obiettivi, non una sorta di presunta e saccente conoscenza non verificata e non ponderata.
La quantità va premiata: sia quella degli studenti che quella dei docenti. Per i docenti accade solo in minima parte, visto il conservatorismo sindacale e la farraginosità burocratica. I docenti vedono, infatti, solo la quantità delle incombenze burocratiche o degli incontri sindacali che non portano a cambiamenti reali.
Infine, bisogna sottolineare, certamente, che la nostra scuola è figlia di una democrazia occidentale: ha una Costituzione da far conoscere e anche una bandiera da amare, ricordando chi l’ha difesa.
Ma non bisogna dimenticare, mai e poi mai, che la nostra è una civiltà policentrica.
La nostra storia (magnogreca, romana, cristiana, rinascimentale, scientifico-galileiana) parla di una specifica differenza universalistica. Inoltre nei suoi molti centri storici (es. Mediolanum, esarcato di Ravenna, Roma caput mundi e centro del cristianesimo, repubbliche marinare, catepanato di Bari…) è l’indice di uno straordinario e vivace pluralismo.
Universalismo e policentrismo, sono qualcosa di estremamente necessario oggi. Riguardano la nostra umanità e quella di tutti.
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