Nella Chiesa di San Marcello a Roma sono esposte, in modo semplice e immediato, due opere di Burnand e Rembrandt. Due momenti di un unico Evento

I pellegrini che vengono a Roma in occasione del Giubileo 2025 hanno molte opportunità di aggiungere al loro percorso religioso la visita a importanti eventi d’arte: Munch a Palazzo Bonaparte, Dalí al Museo Storico della Fanteria, Caravaggio a Palazzo Barberini. Accanto a questi ce n’è uno di dimensioni minori, ma imperdibile. Nella Chiesa di San Marcello, nel cuore della capitale, sono esposte due opere straordinarie: I discepoli Pietro e Giovanni corrono insieme al sepolcro di Cristo il mattino della resurrezione di Eugène Burnand e La cena in Emmaus, di Rembrandt.



L’esposizione è curata da don Alessio Geretti, un sacerdote friulano appassionato d’arte, già curatore alcuni anni fa di una bella mostra di El Greco, sempre in Roma. Molto spesso il difetto delle esposizioni ed anche di molti musei (tra tutti il peggiore è il Louvre) è la dispersione. Si accumulano opere senza un vero percorso.



In realtà, proprio perché ogni curatore ne ha una, in tutti gli allestimenti, temporanei o stabili, c’è una ipotesi di lettura. Il guaio è quando questa non è dichiarata. Significa o che è subdola (e non sono rari i casi di eventi ideologicamente tendenziosi) o che è confusa e quindi impresentabile.

Nel caso dell’esposizione di San Marcello invece i pregi sono la chiarezza e la sintesi. Entrando in chiesa il visitatore si trova subito fisicamente in mezzo alle due opere e concettualmente nel cuore dell’evento raccontato: a destra Burnand, il mattino di Pasqua, con la trepidazione di Pietro e Giovanni che corrono al sepolcro. A sinistra Rembrandt, la sera dello stesso giorno, con l’improvviso rivelarsi del Cristo vivo che squarcia la tenebra che incombe. È tutto lì, non c’è da fare un cammino complicato. Come, in fondo, tutto si è compiuto in quella domenica, nuovo inizio del mondo. Bisogna solo starci davanti.



Il quadro di Burnand, proveniente dal Museo d’Orsay di Parigi, è molto diverso dalle sue innumerevoli rappresentazioni sulla carta o in video. Il pittore svizzero ha rappresentato i due discepoli a grandezza naturale, mettendo fuori della cornice la loro meta. Dinnanzi al quadro sembra di correre con loro.

Anche l’opera di Rembrandt, dal vero, stupisce. Intanto per le sue piccole dimensioni, che rispondono all’esigenza del secolo d’oro dell’arte olandese di creare opere adatte ad essere ospitate nelle case comuni. Poi per la maestria con cui Rembrandt, poco più che ventenne, gioca con luce e ombra. Cristo appare ai discepoli nell’atto di spezzare il pane, ma subito, dice il Vangelo di Luca, “sparì dalla loro vista”. E sembra davvero svanire anche nel quadro di Rembrandt.

Le parole introduttive del curatore, riprodotte ai lati dei quadri ed anche nel catalogo (pur con qualche veniale refuso tipografico) aiutano a cogliere il senso profondo dell’evento della Pasqua di Cristo, così magistralmente raccontato da due autori tanto diversi. La mostra è prevista fino al 2 giugno, ma si spera che la possano prolungare, almeno fino alla data del Giubileo dei movimenti.

Prima di uscire dalla chiesa è poi d’obbligo sostare anche dinnanzi al prezioso crocifisso ligneo, molto caro ai romani e davanti a cui si recò papa Francesco durante la pandemia del Covid-19. La preghiera solitaria e silenziosa di quella giornata resta una delle immagini che raccontano di più chi veramente fosse il papa appena scomparso.

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