La mostra “Munch. Il grido interiore”, aperta a palazzo Reale di Milano fino al 26 gennaio 2025, offre un itinerario pressoché completo dell’artista norvegese, dalle prime opere degli anni 80 del XIX secolo fino al 1944, anno della sua morte.
“L’arte è il sangue del cuore umano” ha scritto Munch nei suoi Diari, ed è questo il suo programma artistico, ma lo è anche di tutta l’arte del XX secolo.
Non basta più l’Impressionismo di Monet e di Renoir a descrivere l’impatto della sensibilità umana con la realtà, perché è ancora un impatto parziale, che non riguarda cioè tutto l’uomo. Verso la fine dell’800 l’arte inizia a dare voce alla soggettività in modo più deciso, facendo emergere, in opere pittoriche ma anche letterarie, i turbamenti, le ansie, le inquietudini e le domande del cuore dell’uomo. Domande spesso senza risposta. A questo si aggiunge che nella società, con la crescita enorme delle città e lo sviluppo di nuove discipline scientifiche tra cui la psicoanalisi, si crea un clima di incertezza, sfiducia e rigetto della tradizione.
Edvard Munch nacque nei pressi di Oslo (che allora si chiamava Christiania) il 12 dicembre 1863. In Norvegia, in Germania e successivamente a Parigi respira tutte le novità culturali e artistiche che si andavano producendo in quegli anni di profondi cambiamenti e diventa –forse suo malgrado – il punto di riferimento dei giovani artisti tedeschi di fine Ottocento, esponenti del nascente Espressionismo. Durante la sua infanzia perde la madre e la sorella maggiore a causa della tubercolosi e il fratello di polmonite. La sorella minore, Laura, sarà internata in manicomio. La morte è l’ospite fisso della sua pittura perché lo è della sua vita. Scrive ancora nei Diari: “abbiamo sofferto la morte durante la nascita. Siamo lasciati con la più strana delle esperienze: la vera nascita, che è chiamata morte. Per cosa siamo nati?”.
Dopo i primi dipinti ancora legati al Naturalismo, e dopo un primo viaggio a Parigi, dipinge la Bambina malata, che rappresenta il capezzale di una giovane affetta da tubercolosi (sicuramente la sorella Sophie) che guarda la madre mentre questa si piega sulla sua mano. L’opera fu esposta al Salone di Autunno di Oslo del 1886 e destò grande scandalo, soprattutto per la tecnica di non-finito e per la semplificazione formale.
È del 1889 il primo contatto con la pittura di Van Gogh ed è certamente una grande iniezione di linfa vitale per la sua poetica cosi carica di drammaticità. L’opera Malinconia (1891) testimonia del suo incontro con la pittura di Gauguin e rappresenta bene quello che scrive nel suo Diario: “È l’aspetto umano – la vita, che bisogna cercare di comunicare. Non la natura morta”. Il successo arriva negli anni 90 a Berlino, dove si trasferisce. Sono di questi anni le sue opere più famose: Il grido, Vampiro, Il bacio e la prima versione di Madonna.
Nel 1898 incontra Tulla Larsen, la relazione affettiva più importante della sua vita ma anche la più tormentata, se non addirittura annientatrice, che gli lascia solo una nube nera di scetticismo sulla possibilità di amare e di essere amato. I dipinti di questi anni riflettono il suo momento difficile, alternando un’intensa attività di mostre a ricoveri ospedalieri per le conseguenze dell’alcolismo di cui soffriva.
Nel 1916 compra una tenuta a Ekely, vicino a Oslo, dove si trasferisce e vive da solo fino alla morte, dove però dipinge tantissimo tenendosi aggiornato su tutte le tendenze dell’arte contemporanea e mantenendo un rapporto privilegiato con la Germania, che con una grande mostra a Berlino nel 1927 lo celebra come il padre dell’arte contemporanea. Muore il 23 gennaio 1944 e lascia le 28mila opere presenti nel suo studio di Ekely alla città di Oslo che nel 1963 inaugura il Munchmuseet, il museo a lui dedicato.
L’arte di Munch è paradigma dell’uomo del XX secolo e profezia dell’uomo di oggi. Un uomo che si concepisce solo, senza certezze e quindi psicologicamente fragile, determinato dalla paura. Un uomo che tenta di sostituire la realtà proiettando su di essa il proprio mondo interiore. Ma con un cuore nobile, cioè pieno del desiderio di un significato.
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