Dalla Fabbrica del Duomo al XX secolo: una rassegna di capolavori alle Gallerie d’Italia ci restituisce il passato di Milano. Fino al 16 marzo
Milano è grande perché ha avuto un grande passato. È stata questa la felice intuizione degli organizzatori e dei curatori della straordinaria mostra Il genio di Milano, aperta alle Gallerie d’Italia, a fianco di Palazzo Marino e di fronte alla Scala, fino al 16 marzo. Il sottotitolo dell’esposizione, Crocevia delle arti dalla Fabbrica del Duomo al Novecento, indica il contenuto della rassegna e l’arco temporale che copre.
Il percorso, diviso in dieci sezioni tematiche e cronologiche, ci presenta infatti una vera e propria “antologia” di esempi illustri di pittura, scultura, grafica, arte vetraria, oreficeria e progetti architettonici e urbanistici di artisti non solo milanesi e lombardi ma provenienti anche da tutta Italia e dall’intera Europa, e che hanno contribuito, appunto, a fare del capoluogo ambrosiano un autentico e unico “crocevia delle arti”.
Si parte dal tardo Medioevo, a cavallo tra XIV e XV secolo, con una suggestiva rievocazione degli inizi della Veneranda Fabbrica del Duomo: sono esposte alcune sculture in marmo di Candoglia destinate ad ornare le fiancate e le guglie dell’imponente cattedrale gotica. E si arriva ai capolavori novecenteschi dell’eccentrico Adolfo Wildt e dei suoi allievi all’Accademia di Brera, poi diventati famosi, Lucio Fontana e Fausto Melotti.
La mostra ci presenta ben 140 opere tra dipinti, disegni, manoscritti, marmi, provenienti dalle raccolte e dai depositi dei musei milanesi e da prestigiosi musei italiani ed esteri, oltre che da fondazioni e raccolte private e dalla collezione Intesa Sanpaolo. Operosa capitale industriale e morale del Paese, ma oggi anche punto di riferimento mondiale della moda e dell’eleganza, spavaldamente proiettata verso il futuro, Milano da sempre ha attratto e accolto artisti e artigiani “foresti”. Così da favorire un felice confronto tra la manodopera locale e straniera, al punto di elaborare nuovi linguaggi figurativi.
Ad esempio, forti delle esperienze maturate nelle grandi cattedrali dell’Europa transalpina, furono le maestranze nordiche ad avviare il cantiere del Duomo, un progetto inedito rispetto alla tradizione lombarda, per poi condividere le loro competenze e cedere il passo ai nostri. E all’ombra della grande basilica dedicata a Maria Nascente si sono succeduti nomi importanti, autentici geni e maestri. Tra i tanti, il fiorentino Leonardo da Vinci che, nei lunghi anni trascorsi come ospite alla corte degli Sforza, con le sue invenzioni tecniche plasma l’urbanistica della città, o il veneziano Giambattista Tiepolo, che apre nuovi orizzonti nella pittura.
Del genio toscano la mostra accoglie diversi preziosi fogli del Codice Atlantico, provenienti dalla vicina Pinacoteca Ambrosiana, mentre di Tiepolo possiamo ammirare l’intimo olio su tela Ragazzo con libro, dal Museum of Art di New Orleans. Un’intera sezione è dedicata al cardinale Federico Borromeo, di manzoniana memoria, che da mecenate e collezionista appassionato fa conoscere – in una città aperta ai commerci e agli scambi – l’originale arte fiamminga e i nuovi generi del paesaggio e della natura morta.
Alcune opere della sua ricca collezione, di piccolo formato e dipinte su supporti di tavola e rame, sono esposte a file sovrapposte, secondo il gusto tipico del tempo, e tra esse si distinguono Fiori in un bicchiere e Vaso di fiori di Jan Brueghel il Vecchio, il più insigne tra quei maestri del Nord capaci di restituire con fantasia e talento il mondo naturale.
Grazie alla profonda opera di riforma dell’imperatrice d’Austria Maria Teresa e del figlio Giuseppe II, a cui si unisce l’impegno degli intellettuali del Caffè, come i fratelli Verri e Cesare Beccaria, Milano diviene uno dei grandi centri dell’Illuminismo europeo: spicca il valente architetto Giuseppe Piermarini, che rinnovò radicalmente l’aspetto della città, in base alle istanze delle classi emergenti.
L’umbro Piermarini (era di Foligno), un altro “foresto” che ha fatto grande Milano, ci ha lasciato tra l’altro – oltre alla splendida Villa Reale di Monza – il palazzo Belgiojoso, il palazzo del Monte di Pietà, i giardini pubblici di Porta Venezia e soprattutto il Teatro alla Scala. Di alcune di queste realizzazioni sono esposti disegni e quadri che le rappresentano.
Capitale del Regno d’Italia all’epoca di Napoleone, poi con il ritorno degli Austriaci capitale del Viceregno del Lombardo-Veneto, Milano è la più prospera e moderna delle città dell’Impero asburgico, e durante la Restaurazione il suo primato culturale è indiscusso. Star della scena meneghina è Francesco Hayez che, lasciata Venezia, pone qui le basi del movimento romantico; esposto il suo celebre Ritratto di gruppo della famiglia Borri Stampa.
Hayez diviene punto di riferimento di artisti che rilanciano generi un po’ trascurati, come il ritratto, il paesaggio e le vedute urbane, di cui è maestro Giuseppe Canella. Del pittore veronese è in mostra la raffigurazione di luoghi ancor oggi iconici come la Corsia dei Servi (poi ribattezzata corso Vittorio Emanuele II), la chiesa di Santo Stefano e lo stradone di Loreto (oggi corso Buenos Aires), com’erano a inizio Ottocento: piaceranno sicuramente ai milanesi.
Segue una carrellata di nomi celebri operanti a Milano a cavallo tra XIX e XX secolo, come il bresciano Angelo Inganni (Interno del Duomo), il trentino Giovanni Segantini (Le due madri), il ferrarese Gaetano Previati (Madonna dei gigli), i piemontesi Pellizza da Volpedo (La processione) e Angelo Morbelli (La Stazione Centrale di Milano nel 1889), il calabrese Umberto Boccioni (Meriggio. Officine a Porta Romana). Gran finale, nelle ultime sale, con i frequentatori del salotto milanese di Margherita Sarfatti (Arturo Martini, Mario Sironi, Achille Funi) e poi Francesco Messina e i già citati Wildt, Fontana e Melotti.
Nato a Sassari e romano d’adozione, Sironi si trasferisce nel 1919 nel capoluogo ambrosiano, dove il poliedrico artista dipinge la famosa serie dei suoi paesaggi urbani dai toni cupi, ispirati dall’incontro con la frenetica metropoli: spazi semideserti abitati da case popolari, gasdotti, ferrovie. Ne sono esempi Periferia e Paesaggio urbano con camion, ma anche la malinconica tela Solitudine, che esprime la condizione esistenziale dell’uomo immerso nella dimensione alienante di una moderna città. Cento anni dopo l’alienazione è un rischio più che mai presente, che esige il rinnovarsi di quell’accoglienza e solidarietà che da sempre caratterizzano Milano.
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