DIETRO LE QUINTE/ 15 giorni per scoprire il “doppio gioco” di Salvini

- Antonio Fanna

Matteo Salvini sembra giocare una partita per provocare la caduta del Governo o continuare a logorare il Movimento 5 Stelle

sondaggi politici Matteo Salvini (Lapresse)

Giuseppe Conte si sente «scavalcato», proprio come un ostacolo in una gara di ippica. Tagliato fuori, insignificante come un 2 di coppe quando la briscola è denari. È Matteo Salvini, come sempre, a fargli il vuoto intorno. Una volta fa il ministro degli Esteri ricevendo il leader libico Serraj, un’altra quello dell’Economia sbandierando propositi di flat tax, non parliamo di quando fa il premier occulto annunciando decreti e riforme. Stavolta Salvini si è intestardito a volere attribuirsi le competenze del ministro della Difesa in materia di controllo dei porti e pattugliamento dei mari.

La vicenda della Sea Watch e la sfida portata all’Italia dalla comandante Carola ha riacceso i riflettori sugli sbarchi dalla Libia. Salvini vantava come un suo successo il loro drastico ridimensionamento, salvo poi accorgersi che gli era venuta meno una delle principali armi di propaganda sui temi migratori. La Sea Watch, prima con le imprese della comandante ostinata a volere sbarcare i profughi in Italia e poi con l’arresto della comandante stessa, ha riacceso un’insperata protesta contro lo strapotere degli scafisti nel Mediterraneo. E il titolare del Viminale ha afferrato l’osso e non lo vuole mollare più.

Nel Governo non si trova un tema su cui Lega e Cinque stelle vadano minimamente d’accordo. E quando sembra che qualche questione sia stata almeno temporaneamente archiviata (come la gestione degli sbarchi) ecco che viene riesumata a uso e consumo di qualcuno. Stavolta è Salvini a fare la voce grossa. Ma Conte non si è mostrato remissivo come in passato. Ieri ha diffuso una nota dura con il ministro dell’Interno, contestando la “narrazione” salviniana secondo cui gli sbarchi sarebbero in calo in quanto «assistiamo a un progressivo incremento del numero di navi che affrontano lunghe e pericolose traversate per scaricare in Italia i profughi accalcati sulle rive libiche».

Salvini è andato a pestare i piedi a uno dei più silenti ministri giallo-verdi, Elisabetta Trenta. La titolare della Difesa si è fatta difendere non dalla Marina, ma da palazzo Chigi: Conte ha infatti convocato una riunione per domani sera per evitare «sovrapposizioni e malintesi» sull’immigrazione. Il vertice servirà per istituire un maggiore coordinamento, in sostanza per mettere una museruola (o una sordina) al ministro dell’Interno: per questo è necessario un maggiore coordinamento tra i ministri competenti, appunto Salvini e Trenta.

Il capo del Viminale scalpita, scavalca, trotta, nitrisce. Soprattutto sconfina e chiede poteri di cui non dispone. Ordina ai marinai di presidiare i porti e chiede l’intervento di mezzi navali, aerei, radar, droni, per fermare l’ondata di sbarchi. Richiama ai propri doveri la Guardia di finanza, che gerarchicamente dovrebbe rispondere al ministero dell’Economia, non al Viminale. In mancanza del nemico degli ultimi mesi, lo straniero che attraversa il Mediterraneo in barba alle leggi, Salvini se ne crea uno in casa, cioè un ministro grillino con poteri limitrofi ai suoi. E poi toglie la polvere allo spauracchio di riserva, la questione buona in tutte le stagioni per seminare un po’ di scompiglio tra i Cinque stelle, cioè l’autonomia delle regioni del Nord. È sempre più evidente che l’autonomia fa parte dell’arsenale di armi tattiche tenute buone dalla Lega per essere improvvisamente agitate come minacce.

Ancora 15 giorni e sapremo se l’attivismo di Salvini risponde alla tattica di far cadere il Governo per votare entro settembre, oppure si tratta di un capitolo della strategia della tensione per logorare i fragili nervi dei compagni di strada.







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