FINANZA E POLITICA/ “L’Europa rischia di finire in un anno”

- int. Gustavo Piga

La situazione economica dell'Italia non è facile. Non bisogna ripetere l'errore fatto nel 2011, anche perché stavolta l'Europa potrebbe saltare

eurogruppo_tria_moscovici_lapresse_2018 Giovanni Tria (LaPresse)

Dall’Istat ieri è arrivato un nuovo dato negativo per l’economia italiana. A dicembre, infatti, il fatturato dell’industria è sceso in un anno del 7,3%, un calo che non si vedeva dal 2009. In forte flessione (-5,3%) anche gli ordinativi, specialmente quelli provenienti dall’estero. Le prospettive per il 2019 non sembrano quindi essere rosee e Gustavo Piga, professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma, avverte della necessità di non ripetere quanto fatto nel 2011: a rischio c’è infatti la tenuta del progetto europeo.

Professore, i dati usciti ieri lasciano presagire che il 2019 sarà davvero un anno negativo per la nostra economia. Come vede la situazione?

Innanzitutto diciamo che tutto il mondo occidentale soffre rispetto a economie, come quelle di Cina e India, i cui ritmi di crescita sono ancora alti. Balza tuttavia agli occhi il fatto che mentre per gli Stati Uniti la previsione di crescita è del 2,5%, per l’Europa è dell’1,5%. Considerando che le problematiche che spiegano il rallentamento globale valgono anche per gli Usa e che la politica monetaria è abbastanza espansiva in entrambi i continenti, il differenziale di crescita è dovuto alla diversa politica fiscale. Che in Europa continua a essere avversata per motivi ideologici che rischiano di far saltare il progetto europeo. Si continua a non capire una cosa importante.

Quale?

Che politica monetaria e politica fiscale sono inscindibili e che la forza della prima emerge quando la seconda non viene frenata dall’austerità e va a favore di chi soffre. Ci troviamo in una situazione paradossale per cui ci avviciniamo a elezioni e si parla di movimenti sovranisti in costante crescita nei sondaggi, cosa che avviene perché non usiamo fino in fondo le politiche per alleviare il dolore della gente, e si dice all’Italia, nel momento in cui si sta incartando di nuovo, che non deve fare nulla in tema di politiche fiscali. L’intervento dello Stato in economia viene avversato e così facendo non si potrà che vedere salire il consenso per le formazioni sovraniste a livelli tali che poi sarà impossibile tornare indietro.

Si dice però che l’Italia rischia la recessione e che quindi ci vorrà una manovra correttiva…

Ci sarà un rallentamento della crescita, non una recessione, perché alla fine il Pil farà segnare una seppur minima crescita, a meno che non si faccia una manovra aggiuntiva restrittiva. I rallentamenti sono degli indicatori importanti, perché se non gestiti bene possono portarci a situazioni veramente negative, come ci insegna il 2011: stavamo cominciando a uscire dalla crisi e l’economia ha cominciato a rallentare e poi si è incartata in una seconda gravissima recessione perché il malato non era perfettamente guarito e non si è continuato a dargli dosi massicce di medicinali. L’errore compiuto è reso evidente dal fatto che gli Stati Uniti hanno continuato anche allora a dare massicce dosi di aiuto all’economia e da quella crisi ne sono usciti, noi no.

Dunque una manovra correttiva andrebbe fatta, ma per espandere la politica fiscale.

Esatto. Siamo in un momento molto simile al 2011 quando l’economia stava timidamente alzando la testa, ma a forza di politiche fiscali restrittive l’ha riabbassata terribilmente per 5 anni. Se non diamo supporto alla domanda interna, se non facciamo intervenire la domanda pubblica, rischiamo di far saltare tutta la Santa Barbara. Dico questo perché, a differenza di quanto avvenuto subito dopo il 2011, oggi rischiamo di perdere la maggioranza politica pro-Europa.

Corriamo un rischio serio, non solo economico?

Il rischio economico è identico ed è di lungo periodo, perché dalla recessione avvenuta dopo il 2011 ne siamo usciti dopo 5-6 anni. La differenza importante è che allora il capitale di fiducia sull’Europa era forte, ma ora l’abbiamo tutto dilapidato. Quindi oggi c’è il rischio immenso di definire delle maggioranze politiche tali da far sì che già nel 2020 il progetto europeo sia morto.

Se il momento è così importante, perché il Governo non si occupa principalmente di chiedere più spazio per le politiche fiscali?

Se l’Italia deve fare più spesa deve anche dimostrare di saper spendere bene. Ed è sconvolgente che ci sia un Governo che ancora non ha fatto nulla in termini di spending review e di qualificazione delle stazioni appaltanti, di investimenti pubblici, rimasti praticamente fermi. È terrificante questo tipo di politica economica, soprattutto è ingiustificabile nel momento in cui questo Governo aveva deciso che la leva fiscale sarebbe diventata importantissima. Certo, ha rinnegato il Fiscal compact, ma a quel punto andava fatto il passo successivo, non ha veramente senso fermarsi a 30 quando bisognerebbe fare 31.

Chi ci può tirare fuori da questa situazione?

Ci vorrebbe leadership per capire quanto siamo a rischio. Non solo in Italia. Abbiamo già perso il Regno Unito e sembra che ce ne siamo scordati. Non ci si rende conto che ci sono dei momenti in cui si fa la storia e non si può più tornare indietro.

(Lorenzo Torrisi)





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